giovedì 27 febbraio 2014

Nicolò e l'asilo

Sono figlia di un’insegnante di scuola elementare ed ho sempre ritenuto di enorme importanza nella formazione della personalità di un individuo i rapporti interpersonali con i propri simili. Appena è nato Nicolò non ho avuto dubbi sull’idea di mandare il pargolo all’asilo. Ero ancora donna panzuta, ormai agli sgoccioli con il conto alla rovescia e ammazzavo le giornate girando per asili, informandomi, facendo domande al corpo docente, per capire quale sarebbe stato l’asilo a cui avrei iscritto il marmocchio di casa.

Ne ho visitati tanti fino a scegliere quello che mi dava particolare fiducia, sotto una serie di fattori: motivazioni dell’insegnanti, cura degli ambienti, attenzione alle attività, flessibilità d’orario.

Avevo fatto un conto sommario che tra aspettativa a cui avevo diritto per la nascita del figlio e giorni di ferie non consumati, avrei ripreso a lavorare nuovamente ad inizi del mese di Marzo, ben 5 mesi e mezzo dal giorno del mio parto. Indicai subito la data approssimativa al direttore dell’asilo e ci accordammo di sentirci successivamente quando i tempi sarebbero stati più maturi.

Il 19 Settembre è nato Nicolò, e la mia vita è cambiata. Da una madre nell’immaginazione, nei miei sogni, nella mia aspettativa sono diventata una madre nella realtà. Quel mucchietto di ossa e pelle morbidosa ha iniziato a fagocitare ogni minimo istante della mia esistenza. Sono entrata in un turbinio di emozioni forti dove la gioia si alternava con lo sconforto, la tenerezza con la frustrazione di non saper fare abbastanza. Poi giorno dopo giorno, con calma e costanza, ho iniziato a trovare la chiave di lettura, ad imparare ad interpretare le sue necessità, i suoi bisogni, ad abituarlo a venire incontro anche lui alle mie. Giorno dopo giorno, diventavamo una madre e un figlio, che riuscivano a comunicare tra di noi, a capirci, anche se a volte alla bene e meglio, non al primo tentativo, ma alla fine si raggiungeva sempre l’intesa.

Con l’arrivo del Natale, ritornava in auge anche il discorso dell’asilo. Se prima dell’importanza di questo non  avevo dubbi, con l’approssimarsi del nostro distacco mi sono emerse tutta una serie di perplessità e di reticenze.

In quei primi mesi di contatto continuo, giorno e notte, minuto e secondo, avevo a fatica guadagnato un rapporto di sintonia con mio figlio ed avevo soprattutto capito che un bambino così piccolo, non è negoziabile. Con un bimbo così piccolo è difficile scendere a trattative, se lui vuole mangiare e io volevo andare in bagno, di  sicuro entro breve mi ritrovavo a dargli da mangiare a gambe incrociate. In caso contrario, le urla provenienti da casa sarebbero state in grado di rompere le vetrate agli abitanti del piano terra e del seminterrato oltre a quelle dell’intera palazzina. Crescendo un bimbo impara a trattare a darsi pazienza, ma i primi mesi no, è lui che comanda e lo farà capire presto. Un bimbo così non si parcheggia su un letto, nemmeno per pochi minuti, perché lui ha bisogno di attenzioni e ne ha bisogno in maniera costante.

All’asilo in mia assenza sarebbero riusciti a dargli tutte quelle attenzioni che lui meritava? Con tanti bambini è possibile che il mio non si sarebbe trovato parcheggiato in un angolo su un qualche materassino? Cinque mesi non erano forse troppo pochi per esser staccato da una persona così presente come la madre?

Erano interrogativi a cui non sapevo dar risposta e che mi hanno logorato per diverse settimane. Ho ripreso nuovamente in considerazione la baby-sitter, la nonna sitter e altro, non mi sono data pace.

Poi alla fine mi son detta, che niente è per sempre, non lo sono spesso i matrimoni, figuriamoci gli asili, potevo sempre tentare e se la cosa non mi convinceva abbastanza, avevo tutto il tempo per escogitare un piano B.

Il primo suo giorno di asilo è stato più emozionante per me che per lui. A differenza di tutte le reticenze che avevo avuto in precedenza a quella data, il mattino del suo ingresso a scuola, mi sono alzata, emozionata e felice. Lui affamato come tutti gli altri giorni.

Abbiamo fatto entrambi colazione, e poi tutti cambiati e profumati ci siamo diretti verso questa nuova esperienza. Il primo giorno doveva esser solo di presentazione del bambino, e delle sue principali abitudini alimentari, e di comportamento; niente più.

Mi sono ritrovata su un tappetino a gambe incrociate davanti ad un’insegnante che prendeva appunti sul tipo di frutta che poteva mangiare, il tipo di carne, le verdure, il latte materno, su come dormiva, quanto e a che ora, sulla sua indole e la sua tabella di abitudini ordinarie.

Nicolò sdraiato davanti a noi osservava quel nuovo mondo. Osservava i bimbi che camminavano e a volte inciampavano nei loro primi passi imprecisi, osservava le palle di gomma che rotolavano sul pavimento, le altalene che oscillavano sospese dal soffitto, le scarpe delle maestre che issavano ora un bimbo per il cambio ora aiutavano ad alzarne un altro che gattonava.

-      -  Mamma per me è concluso, potete andare via – mi ha detto la maestra una volta compilato l’intero modulo. - Possiamo cominciare da domani a provare il distacco.

Ho guardato Nicolò. Era completamente immerso con lo sguardo in quel suo nuovo mondo. Ammaliato da tutti quei colori, quelle forme, quei suoni. Era attento, concentrato nello studio. Non me la sentivo di allontanarlo da quelle sue prime scoperte.

La maestra deve avermi letto nel pensiero, perché ha aggiunto
-        - A meno che non vogliamo fare una prova già da subito.

Ho accettato.

Dopo venti minuti, come da accordi sono andata a riprenderlo, senza pianti, senza paura, né da parte mia né sua.

Ormai è passata poco più di una settimana da quel primo giorno di scuola. Nicolò si ambienta ogni giorno di più, senza traumi o esitazioni. Lo trovo una volta sull’altalena, una volta in braccio ad una maestra, una volta in fascia ad un’altra, una volta su un tappetino che studia cubotti di gomma.

Io provo una forte emozione ogni volta che lo lascio, e una forte emozione ogni volta che vado a riprenderlo. Lui una forte voglia di tetta.

Cresciamo entrambi giorno dopo giorno.

Sono contenta della scelta fatta, perché ogni volta che lo lascio vedo in lui un bimbo ogni giorno più grande, vedo in lui la promessa dell’uomo che sarà.


mercoledì 5 febbraio 2014

L'idraulico

E’ domenica, una domenica di inizio febbraio. La pioggia scrosciante tiene fede alle immagini che la televisione manda di una Roma allagata. Pioggia ovunque, battente, incessante, senza sosta.

 Fab si accorge che il termosifone nella cucina a vista perde. E’ domenica, non può chiamare l’idraulico, deve aspettare il lunedì. Bussa al vicino di casa, per verificare se la nostra perdita è andata ad intaccare pure le sue pareti, ma per fortuna da lui nessuna traccia di umidità, a quanto pare il problema è solo nostro

Lunedì Fab chiama l’idraulico che ci fissa un  appuntamento per martedì pomeriggio, ieri.

L’uomo è di parola, alle sei, alla fine della sua giornata lavorativa è alla nostra porta per verificare il danno e anche una strategia di lavori da fare. A casa ci siamo tutti: io, Fab e il boss.

Il boss è un po’ nervoso. Da due giorni ha iniziato a sostituire la poppata di mezzogiorno con una pappina di brodo di verdure, omogeneizzato di coniglio e crema di riso, e se in quanto ad apprezzarne il gusto il boss non si fa problemi, gli resta forse un po’ difficile la digestione. La sera si trascina un nervosismo che lo accompagna fino alla notte.

L’idraulico è un tipo simpatico. Parla a raffica della sua passione per i bambini, dei suoi primi clienti, dei figli di tante cose, compreso della sfiga che abbiamo avuto che in meno di un anno ci si sono rotti due termosifoni. Preparo un caffè in questo turbinio di parole, mentre Fab  tiene in braccio un boss piagnucolante e capriccioso. Esce il caffè, chiedo quanto zucchero mettere, e posiziono vassoio, tazzine, e zuccheriera sul tavolo. Libero Fab dal boss, per lasciarlo sereno a prendersi il caffè, per me è troppo tardi, dopo un certo orario il caffè mi procura insonnia.

Il boss continua a frignare in braccio a me. Cerco di distrarlo mostrando le cose intorno a lui.

“Cos’è questo? Il libroooooo…. O mamma che bello il libro di Nicolò”

Mi guarda interdetto. Guarda me e poi l’oggetto. Non ride ma almeno ha smesso di frignare.

La strategia sembra esser quella giusta. Continuo a cercare oggetti intorno a me.

“E questo? Cos’è questo????…… O cavoli ma è la tazzina di papà…. E’ proprio bellissima questa tazzina”

Lui continua a stare in silenzio, e a guardare quello che gli ho appena mostrato.

“E questo????”

Apro gli occhi e vedo bene cosa sto cercando di indicargli. Lì realizzo.

Caxxo il tiralatte proprio in bella mostra sul tavolo, a nemmeno un palmo di distanza dal vassoio  dove l’idraulico sta candidamente sorseggiando il suo caffè.


Un pensiero fugace, e la realizzazione che sono arrivata veramente alla frutta.

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