giovedì 30 gennaio 2014

Il pane senza impasto

Una delle cose che mi è rimasta impressa della mia infanzia è l’idea che il pane a tavola abbia un’accezione sacra. “Il pane non si butta” diceva mia madre, a cui faceva eco mia nonna “il pane è degli angeli”, quando noi bambine sedevamo a pranzo e ci trastullavamo facendo palline con la mollica di pane.

Ho imparato così che il pane anche se avanza non si butta ma può esser mangiato nei giorni successivi con delle ricette ad hoc per il pane raffermo, può esser tostato e trasformato in pan grattato o infine può esser dato alle galline o ai conigli che di sicuro non si faranno cruccio della “stagionatura”.

Proprio per questa areola di sacralità che nel mio immaginario il pane comporta, anche ora che sono lontana da conigli e galline, continuo a provare un certo mistero ogni volta che il pane è sulla mia tavola, soprattutto se è nato dalle mie mani.

Alcuni mesi fa lessi sul blog di Nella trattoria di Martina la ricetta del pane senza impasto  e rimasi esterrefatta dalla bellezza del risultato finale e dalla facilità della preparazione. PS: Per chi non conoscesse il blog, lo consiglio vivamente perché è una miniera di ricette sia italiane, che estere. Per una come me che in cucina ama sperimentare Martina è un’ottima musa ispiratrice.

L’unica difficoltà della ricetta del pane senza impasto era reperire una pentola in ghisa, che al momento non avevo e non sapevo come procurarmi. In realtà, ho trovato poi la pentola senza grande difficoltà ad un negozio di casalinghi ben fornito. La mia pentola è simile a queste

Ingredienti
1 kg di farina 0 (io ho usato quella artigianale comprata da un mulino, ma suppongo che con la farina comprata al supermercato sia la stessa cosa)
600 g di acqua tiepida
1 panetto di lievito di birra fresco
20 g di sale
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
1 cucchiaio di malto 

Ricetta

La parte iniziale è simile a quella di qualsiasi impasto per pane o pizza. Mescolare farina, lievito sciolto in acqua e sale in un recipiente capiente. Aggiungere eventualmente farina o acqua qualora l’impasto risultasse troppo denso o al contrario troppo acquoso. Aggiungere quindi l’olio e il malto e mescolare ulteriormente.
La ricetta originaria a questo punto richiederebbe di chiudere il recipiente con un coperchio e di metterlo in frigorifero. Io non avendo un contenitore abbastanza grande dotato di coperchio, ho rimediato coprendo la coppa in cui avevo riposto l’impasto a lievitare con fogli cellophane. L’impasto viene lasciato lievitare in frigorifero per venti ore. Ho quindi atteso una notte e finito la ricetta il giorno dopo.

Trascorso il tempo di lievitazione, bisogna trasferire l’impasto lievitato su una superficie di lavoro infarinata, e dividerlo in due porzioni, in modo da formare due panetti. Prendere una delle due metà dell’impasto e stenderla con le mani a formare un quadrato. Applicare delle pieghe a portafoglio, prima in un verso e poi nell’altro. La piega a portafoglio consiste nel tirare e piegare il lato destro del rettangolo verso il centro, per poi sovrapporgli il lato sinistro come indicato nello schema.


Prendere quindi il rettangolo ottenuto dalle prime pieghe, ruotarlo di 90 gradi e procedere un’altra volta come indicato nello schema.

Ovviamente l’operazione va ripetuta per entrambi i panetti.
Terminata quindi l’operazione delle pieghe bisogna prendere con una certa delicatezza i due panetti e chiuderli ciascuno in un fazzoletto di stoffa ben pulito, facendo attenzione che la parte della pagnotta con le pieghe sia rivolta verso la superficie del tavolo, e quindi verso il basso.  Io ho chiuso gli strofinacci  con uno spago, per evitare che le pagnotte con la seconda lievitazione cedessero verso l’esterno perdendo quindi in altezza.

Lasciare quindi lievitare per un’ora.

Riscaldare il forno al massimo un quarto d’ora prima di infornare. Lasciare  la pentola nel forno in modo che anche questa arrivi a temperatura.  Prendere quindi il panetto lievitato e sistemarlo nella pentola, facendo in modo che questa volta le pieghe siano rivolte verso l’alto. Cuocere a 250° per venticinque minuti. Passato tale tempo cuocere per un ulteriore quarto d’ora a coperchio aperto.
Vi assicuro che il risultato è da leccarsi i baffi.



martedì 28 gennaio 2014

Succede

Succede che Fab torna a casa un giorno sentendosi poco bene. Dopo due giorni di tosse indefessa decide di andarsi a fare una “revisionata” dal medico di famiglia, che stetofonendoscopio alle orecchie sentenzia “bronchite”. 
Succede che Bussola, si sente invincibile protetta dal suo scudo di maternità, e dal suo esercito di anticorpi sufficienti per lei e per la sua progenie. Non si cautela, non prende precauzioni. 
Ma a volte anche  Bussola pensa le minchiate e così tempo due giorni e l’intera famiglia è sterminata da virus e batteri.

L’aerosol diventa l’allegro compagno delle giornate di tutto il clan, i fazzoletti vanno via a fiume, e lo sciroppo viene tracannato come fosse acqua.

Se il quadro non fosse già abbastanza devastante succede che un giorno il boss inizia a non chiudere più occhio la notte. O meglio, si addormenta, ma tempo un’ora e riapre gli occhi come in preda ad una visione. Passano le notti così a botte di sette, otto risvegli a nottata, a botte di pianti, di ninne nanne e di occhi gonfi, di urla in grado di fendere i vetri.

Concomitantemente a queste notti ballerine il boss inizia a respirare come un carlino. Il suo fiato diventa corto, rauco, grave. Di giorno è tranquillo e sereno, ma la sera si trasforma in un carlino.
La pediatra. Solo la pediatra li può salvare.

Bussola e Fab infagottano il boss e lo portano nuovamente dalla dottoressa per un’ulteriore visita. Si augurano una pozione, una parola di conforto, ma che sia in grado di far tornare nuovamente il sonno alla famiglia.

Si rivolgono a lei come fedeli di fronte ad un’immagine votiva. Pendono dalle sue labbra.

“Broncospasmo”. E’ questo il problema del boss. E’ il broncospasmo che lo fa respirare come un carlino, ed è per il broncospasmo che non riesce a dormire sereno.

Bisogna combattere il broncospasmo a colpi di aerosol (ben 4 al giorno, che ve lo dico a fa la collaborazione in merito di un bambino di 4 mesi), a botte di antibiotici ( 2 al giorno) di lavaggi del naso con fisiologica (n all’infinito volte), di aspiratori nasali (al nostro buon cuore).


Sono cinque giorni che perseguitiamo il boss con ogni minima trovata della scienza contro i malanni invernali, sono cinque giorni che il boss ci guarda in maniera torva ogni volta che ci avviciniamo a lui, ma sono cinque giorni che il boss ha smesso i panni del carlino ed è ritornato a dormire la notte.

foto presa da qui

giovedì 16 gennaio 2014

Il ritorno dei biberon

Il boss ha dichiarato alla stampa “se non c’è la mamma va bene anche la MAM”.


Dopo vari tentativi, dopo aver testato diverse tettarelle, abbiamo trovato l’unico e prezioso sostituto della tetta della mamma. Ora non moriamo più di fame in assenza della tetta di ruolo e in presenza del suo latte.
Ora campiamo alla grande.

PS: come al solito i suggerimenti provenienti dal web sono stati preziosi. Grazie per la dritta

lunedì 13 gennaio 2014

La fuga dei biberon

Bussola lo scorso week end ha iniziato ad assentarsi dal nido domestico perché si è ritagliata un impegno che esula dalle sue giornate lavorative. Si, perché lei si è inventata un altro onere come se la sua vita non si fosse già troppo saturata di responsabilità.

Durante la settimana precedente al suo esodo lei si è munta come fosse la mucca Carolina, roba che se l’avessero vista quelli della Lindt l’avrebbero inserita nel ciclo produttivo della famosa cioccolata. Bussola pertanto ha ceduto a quell’arnese infernale che è il tiralatte elettrico, aggeggio che dovrebbe esser vietato dalla Convenzione di Ginevra.

Per una settimana Bussola è diventata madre di gemelli: il boss e il tiralatte; entrambi molto famelici. Ad ogni modo, grazie ai suoi sensi di colpa Bussola è riuscita a riempire il suo ultimo cassetto del congelatore con bustine di plastica trasparenti adeguatamente chiuse e identificate con nome, data e quantitativo di latte riposto.

Venerdì la tapina si è truccata come erano mesi che non faceva, si è messa in tiro o quasi, ed è uscita da casa affidando i suoi due gemelli alle cure amorevoli di padre e suocera. Durante la sua piccola fuga dalle mura domestica la stessa si è sentita leggera ed eccitata per esser ancora in grado di azionare il cervello oltre alla conta delle ore che distanziano una poppata dall’altra.

La stessa non poteva immaginare che nell’accampamento domestico le truppe stavano subendo una completa disfatta: Il boss rifiutava categoricamente il biberon con ogni forma di latte ci fosse al suo interno, e scendeva a compromessi solo con la frutta al cucchiaino.

Tornata a casa da questa sua fuga di cervelli Bussola ha trovato un marito demoralizzato, una suocera esausta, un figlio che si è fiondato a ventosa sul suo seno.

La notte è passata insonne per la tapina, che si è arrovellata più volte sulle sue responsabilità, le sue disfatte, i suoi buoni propositi. Durante la notte al boss è bastato schioccare le dita per vedere sua madre “caracollarsi”più volte sul suo lettino  per riempirlo di coccole e di buon latte materno.

Il sabato mattino Bussola si è richiusa la porta di casa dietro di sé, augurandosi di subire minori perdite del giorno precedente, sfanculando i cervelli con tutte le loro fughe, e sperando di esser presto di ritorno a casa. Sulla metro la stessa ha sentito un groppo in gola sorgere dalla sua parte più intima ed ha ceduto al desiderio di piangere.

A differenza di tutte le previsioni, il secondo giorno è andato un po’ meglio, o forse, un po’ meno peggio. Il boss con mille fatiche è riuscito a ingurgitare un po’ di latte materno, tra canti della nonna, danze del papà, e pupazzetti sventolati in aria. Il biberon rimane ad ogni modo un suo acerrimo nemico, sembrerebbe essersi dimenticato come si usa, nonostante fino a quindici giorni fà saltuariamente lo avesse usato senza problemi.


Si accettano consigli e pacche sulla spalla, in questa nuova lotta verso la riconciliazione che si dovrà superare prima di Marzo quando Bussola dovrà definitivamente riprendere le attività lavorative.


mercoledì 8 gennaio 2014

Here we are

Here we are
Eccoci qua. Rientrati dalle vacanze più tosti che mai.
La befana si è portata via le luci di Natale, il caminetto acceso a casa dei miei, i presepi viventi che costellano la provincia di Lecce, il vestito di Nicolò con papillon, le bollicine di spumante, il pandoro homemade, le passeggiate sul lungomare con il mare in burrasca, le grigliate di carne dai parenti, la tombolata con gli amici, i mercatini di artigianato, le cartellate e i purcedduzzi, il viaggio in macchina andata e ritorno, il sole tiepido, le ferie del papà e tanto altro.

E’ finito questo 2013, e qualsiasi anno ad esso succederà difficilmente per noi potrà essere altrettanto bello come quello trascorso. Il 2013 per noi ha significato, un test positivo di gravidanza, la scoperta di una vita che nasce, una pancia che giorno dopo giorno si gonfia, e infine una vita che viene alla luce. Nessun dono dalla vita può esser più grande se non la vita stessa, per questo credo che nella nostra cantina l’annata 2013 sarà quella di un vino d’eccezione.

Se il 2013 mi ha visto mamma, il 2014 sta nascendo all’insegna di una maggiore autonomia di Nicolò. A Marzo rientrerò a lavoro, e per forza di cose il nostro tempo trascorso insieme sarà minore. Lui dovrà iniziare l’asilo, uscire quindi da quel contesto ovattato che è la famiglia per andare incontro all’ esistenza che scorre  lungo le strade della città.

Da gennaio frequenterò un corso durante il week-end e questo significherà che io e Nicolò avremo un piccolo assaggio della vita indipendente. In questi mesi lui non frequenterà l’asilo, ma starà con nonna e papà. E’ difficile capire per chi dei due il distacco sarà più traumatico. Ho come l’impressione che i 62 cm d’altezza saranno più forti e pronti al cambiamento di quanto non lo sia il metro e 70.

A gennaio ad ogni modo nella scalata verso l’indipendenza possiamo dire di aver già salito un primo gradino: dormire nel proprio lettino, nella propria stanzetta. Per quanto l’evento possa sembrare eccezionale, in realtà per un bimbo abituato a dormire nella propria culletta da subito, il passaggio da culletta a lettino e da stanza dei genitori a stanza propria è stato indolore. Le ansia, effettivamente, erano più le mie, ivi compresa la paura di non riuscire a sentire un suo eventuale pianto nel momento in cui provenisse da una stanza diversa dalla mia.

Ma una madre è in grado di sentire dall’ America il pianto del proprio figlio anche qualora provenisse da una bidonville in India, e allo stesso modo il figlio è in grado di farsi sentire indipendentemente dalle distanze. Se poi ci mettiamo che i metri quadri di una casa di città sono poco più grandi di quelli di un formicaio, l’eventualità di non sentire Nicolò piangere durante la notte è veramente remota. Per confermar la tesi, possiamo dire di esser riusciti a  trascorrere le prime notti in stanze separate senza grossi traumi, riuscendo a tener testa a tutti i risvegli del caso, e agli attacchi di mammite o di tettite vari ed eventuali.

Nel secondo gradino verso l’indipendenza si annovera nel mese di gennaio anche l’introduzione della frutta nella dieta del pargolo. Nonostante i primi bocconi venissero deglutiti con sguardo accigliato, e naso arricciato, oramai il boss ha capito che la mela gli è amica, e si approccia ad essa con minor sospetto. Le indicazioni del pediatra sono state: mela, pera, e banana per iniziare, ma noi al momento siamo fermi sulla mela experience!

E infine sbavozzo e mani in bocca fanno sospettare l’arrivo dei dentini ormai prossimo, ma questa è un’altra storia e al momento non ci esponiamo.


Un saluto  dal boss che vi augura per il 2014 “chiù tette pi tutti”


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