martedì 28 maggio 2013

Aspettando l'aspettativa

Bussola ha deciso che il 13 giugno andrà in aspettativa. 

Addio metro, addio treno, addio lavoro, addio sveglia,addio tutto. Bussola si ritira a pettinare le bambole. Tre mesi prima del grande giorno, lei dice “ciao, s’è fatta ‘na certa, io vado”. 

E’ eccitata e agitata all’idea. Ha giusto il tempo di chiudere gli ultimi lavori appesi in ufficio e poi accosta tutto, da la sua benedizione alle carte e le affida al loro destino.

Per un attimo quando la sua ginecologa ha sentenziato il giorno da cui sarebbe partito il certificato, Bussola ha avuto un singulto di smarrimento. 

Quel certificato per quanto lo avesse procrastinato, nonostante le raccomandazioni della ginecologa che l’avrebbe messa in aspettativa da Pasqua, ora lo aveva agognato. Si era resa conto che era arrivato il momento X, quello giusto, quello per mettersi al riparo da stress, mezzi pubblici, caldo e lunghi percorsi con un pancione che ormai fa provincia autonoma. 

Nonostante quel certificato lo avesse questa volta chiesto lei alla dottoressa, adesso sentire che era arrivato definitivamente il momento un po’ le aveva lasciato un senso di inquietudine. Non c’era più tempo di indecisioni, di ripensamenti, temporeggiamenti. Il dado era tratto. 

Come quando sei al quinto liceo e non vedi l’ora di finire quel ciclo di vita per correre libero all’università, lontano dalla tua famiglia, dai tuoi luoghi di infanzia, correre a grosse falcate verso la tua vita, ma poi quando arriva maggio e quindi il momento di preparare gli esami senti un senso di malinconia piazzarsi sul groppone per tutto ciò che lasci. 

Bussola davanti alla dottoressa si è sentita così: in balia dei suoi stessi desideri da cui è difficile discernere gioie e timori. 

Bussola sa che nessuno è mai morto per esser stata distante qualche mese dal proprio lavoro. Le sue carte, non sentiranno la sua mancanza e né lei di loro. Su questo Bussola non ha dubbi.

Ad ogni modo, perderà parte della sua quotidianità: le chiacchiere con le sue amiche davanti alla macchinetta del caffè, i pettegolezzi con i colleghi, le piccole fughe dall’ufficio per una pausa pranzo un po’ speciale, una piccola deviazione dopo il lavoro a qualche negozio in pieno centro Roma. Di questo, in fondo in fondo sa che ne sentirà la mancanza. Nemmeno poi tanto in fondo.

giovedì 23 maggio 2013

la Roma da Bene e quella Ripulita

Bussola e Fab lo scorso week-end sono andati al  derby dell'Ippodromo Le Capannelle .

Sono andati ognuno per un motivo diverso. Bussola da piccola aveva un sogno nel cassetto: possedere un cavallo e correre in groppa al suo destriero con i capelli lunghi al vento, anche se lei da piccola i capelli ce li aveva corti.

Fab invece c’è andato perché suo nonno materno era possidente di una scuderia, ma lui non ha avuto mai la possibilità di vederla perché col tempo si rivelò un affare troppo oneroso da molti punti di vista e il nonno decise di vendersela. Fab campa con il rimorso  di non aver mai visto la scuderia del nonno.

Pì, l’amica di Bussola, aveva avvisato la sottoscritta “Venite anche voi. E’ divertente. Ma non tanto per lo spettacolo dei cavalli, per la gente che frequenta e assiste il Derby. C’è la Roma da bene e c’è la Roma ripulita!”.

E Bussola è andata.

C’era veramente la Roma da bene. C’erano i ricchi, quelli che profumano di soldi anche se loro non se ne rendono conto. Sono industriali nonostante spesso si sia industriato qualcun altro al posto loro. Vestono in polo e mocassini, e le griffe le portano con classe. Sembrano sempre appena calati dallo yacht, o da un campo da golf con un colorito vagamente abbronzato.

Hanno l’attico ai Parioli e la filippina per fare la spesa. Il figlio parla inglese, anche se poi è stato allattato dal seno della lupa.

E c’era la Roma ripulita. Quella che  veste chiassosa, che usa tacchi a spillo e vestiti folleggianti. Quella che non sta comoda sui tacchi ma che comunque sorride alla folla e ancheggiando si immerge nella moltitudine trascinando in una borsa il proprio chihuahua, anche se  infondo odia i cani. Quella che poi a fine spettacolo si infila in una macchina utilitaria, lancia i tacchi liberando i piedi gonfi e fila via verso la sua borgata a veder la partita della Roma con il vicinato.

Ma c’era anche dell’altro. C’erano gli inglesi, quelli autentici, che parlano inglese autentico, quello della regina. E allora capisci che gli inglesi hanno tanto la fissa del cavallo che poi ti sbucano a sorpresa anche all’ippodromo “Le Capannelle”.

C’erano i poveracci che si spendono la pensione in puntate, nelle corse dei cavalli. Quelli che non hanno più lacrime per piangere, ma che una puntata su un purosangue vale sempre la pena. Perché alla fine si vive una volta sola.

C’erano le famiglie, quelle normali, perché se c’è la Roma da Bene e quella Ripulita è giusto che ci sia pure quella  consueta. Perché gli strani non sarebbero strani se non ci fossero i normali, e quindi la colpa è forse solo dei normali, se gli strani  sono strani.

C’erano gli acrobati, perché anche l’occhio vuole la sua parte.

E infine c’erano le scuderie che si giocano i milioni. E se il fantino fa una cazzata, tipo che si fa scappare il cavallo da sotto il sedere, beh allora sì che parte il sangue al cervello a tutti. E son dolori!

Ah! Quasi dimenticavo. C’erano pure i cavalli.

























lunedì 20 maggio 2013

Fa strano


Non sono ancora completamente abituata alla mia pancia che da qualche settimane, ha decretato il suo trattato di autonomia. E’ come se un giorno mentre sei in bagno a lavarti i denti la bocca ti  si serrasse e autonomamente iniziasse a sputare sullo spazzolino, o se i piedi anziché infilarsi in un paio di stivali ai piedi del letto, si direzionassero verso i sandali in una normale giornata di pioggia. Farebbe strano.

Non è normale, insomma.

Sentire la mia pancia che mentre sono a letto, intorno a mezzanotte, a cercare di prender sonno, inizia ad animarsi di nuova vita, tarantata in preda ad un ritmo concitato mi lascia a dir poco allibita. E’ successo la notte scorsa. Dopo non molto che mi ero coricata, il mio ventre ha iniziato ad emetter suoni strani, a far spuntar strani bozzi, a scuotersi e contorcersi in maniera vorticosa. Se all’inizio ti fa sorridere, poi dopo i primi due minuti ti ritrovi a pensare “oddio sarà normale questa cosa? Pare più una scena di Alien”

Allo stesso modo se all’inizio trovi simpatico che quando sei sdraiato su un lato, come per trent’anni sei stata abituata a dormire, ti arriva un calcetto delizioso che ti incita a riacquistare la posizione supina perché più consona al suo regale sonno, quando una notte qualsiasi nel dormiveglia ti giri casualmente su un lato e hai come l’impressione che un gatto ti sia sgusciato da sotto una costola ti ritrovi in men che non si dica in piedi al letto in pigiama con le lenzuola addosso ad urlare

“oddio cos’eraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa?????”

E tuo marito con gli occhi sgranati più atterrito di te

“aiutooooooo cos’era cosa?????? Doveee?????”

Tutto ciò fa strano.

Fa strano anche quando sei in bagno concentrata sul wc e senti il tuo bambino nella tua pancia che si muove e si agita proprio in direzione della tua vescica.

“Ma dove vuole andare?” ti ritrovi a pensare “Lo capirà che non è lui che deve uscire? Che può star calmo che ancora ce ne vuole”

A tutto questo ancora mi sto abituando. E se alle volte fa strano, ma molto strano, allo stesso modo, altre volte,  mentre sono in metro in mezzo a tanti sconosciuti alienati e assonnati almeno quanto me, sentire un pugnetto o un calcetto che mi fa sussultare il cuore, e mi ricorda che per almeno quattro mesi ancora in qualsiasi posto andrò  non sarò mai sola, a volte fa veramente molto figo!”.

giovedì 16 maggio 2013

E' anche affar loro :)


Fab dice che dal momento in cui l’uomo chiederà la mano della sua futura moglie, lui non lo sa ma nulla sarà più come prima. Lui questo lo ignorava, e lo ha imparato a sue spese.

Una volta che l’uomo ha fatto la fatidica domanda alla sua compagna, su di lui si spegneranno le luci dei riflettori e sulla donna si accenderanno cinque occhi di bue.

Durante i preparativi del matrimonio nessuno degnerà il futuro sposo della minima attenzione. Tutto ruoterà intorno alla sposa, al vestito della sposa, alla chiesa della sposa, il velo della sposa, al paese della sposa, al bouquet della sposa, al trucco della sposa.

Lo sposo è un simpatico accessorio, la ciliegina sopra la torta, insomma. Una cosa carina, simpatica, che finalizza la scena ma nulla più.

Con la gravidanza la solfa non cambia. La cicogna sembra aver poggiato il bebè in arrivo in mezzo a trucchi e profumi della sposa, a voler chiaramente indicare che è un presente da femmina a femmina. Tutti fanno gli auguri alla futura madre, chiedono se sia emozionata, se già il bimbo si sente scalciare, se ci sono state le nausee, se si sente stanca, gonfia, afflitta, felice, euforica. E i piedi gonfi? E la pressione? Il ferro? Fab ogni tanto tenta di far presente che quel semino ce l’ha messo lui nella sua donna, e che gradirebbe anche una domanda stupida, di cortesia, tanto per sentirsi partecipe all’avvenimento. Ma puntualmente la sua voce viene sempre sopraffatta dal chiacchiericcio euforico intorno alla pancia farcita.

Fab dice che si è rassegnato, ma io lo so, non lo è ancora del tutto.

Ho come l’impressione che dopo la nascita del/dei figli la posizione dell’uomo si aggravi ulteriormente. Nella scala dell’indice di gradimento tra amici e parenti, scenderà a capofitto nelle ultimissime posizioni, superato appena da cane, gatto, e a grande distanza da madre, sorpassata a sua volta dal figlio grande, che vede in lontananza il figlio piccolo marcare la prima posizione della classifica.

In questi giorni ho scoperto alcuni papà blogger nel web. Alcuni papà che tentano affannosamente la risalita da quello oblio in cui la maternità gli ha spinti.
Raccontano in maniera ironica e divertente le avventure in cui sono piombati con l’arrivo dei cataclismi dei propri figli a scombussolare l’equilibrio della famiglia. Un meridionale, un settentrionale, due realtà diverse ma affrontate entrambe con lo stesso umorismo, e lo stesso acume.

Adoro le penne di entrambi, o parlando di web sarebbe meglio dire le tastiere di entrambi. Riescono a illuminare di uno spirito brioso e irriverente la paternità, scrostandolo da quel velo aulico e stucchevole in cui molto spesso una madre rimane invinghiata. Entrambi sono inoltre un ottimo esempio di età moderna, in cui i figli non sono più ormai affar della mamma, ma le cui croci e  delizie la donna smezza volentieri con il proprio patner.

Se vi ho incuriosito vi lascio i link.


Autore anche dell’omonimo libro edito da TEA edizioni


e


Giovanissimo ma molto promettente blogger



Buona lettura! ;)

lunedì 13 maggio 2013

N come Nicolò


La scelta del nome di un bambino è sempre un momento molto delicato e tenero da parte dei genitori. Un nome è un nome, e accompagna la persona in maniera inequivocabile per tutto il suo percorso di vita.

Ho sentito dei nomi di persona improbabili e ho sempre pensato all’imbarazzo di quelle persone ogni volta che dovevano presentarsi a qualcuno. Perché il tuo nome non te lo scegli tu, ma te lo appioppano gli altri, e se ti dice sfiga che i tuoi genitori abbiano troppo il senso dell’umorismo o poco quello della decenza, tu sei  in un bel casino a vita.

Vi lascio un brevissimo elenco di nomi trovati su internet in base ad una ricerca sui numeri telefonici regolarmente registrati in elenco.

Culetto Candido
Capezzoli Rosa
Costa Smeralda
Vacca Felice
Fiore Secco
Amabile Cuscino
Sesso Generoso

E l’elenco continua ancora per molto. Leggete qui se l’argomento vi stuzzica.

Ora quello che dico io, se già ti dice sventura nera che la famiglia si porta dietro un cognome terrificante come Culetto, Capezzoli etc, perché, dico perché, aggravare questo scenario nefasto anche con un nome? Se mi fossi ritrovata una volta nata con un braccialetto riportante uno dei succitati nomi, appena raggiunta l’età della ragione sarei corsa all’anagrafe non solo per farmi modificare i miei dati ma anche chiedere un innesto in un albero genealogico di un altro ceppo familiare, perché gente che affibbia nomi così a cavolo non merita di cambiare i miei pannolini.

Fortunatamente il mio cognome era molto più umano, e i miei genitori avendo un po’ di sale in zucca, hanno potuto scegliere in piena libertà secondo i loro personali gusti. Mi chiamo Danila. Un nome che mia madre scelse perché conobbe in collegio una ragazza con quel nome. La ragazza le sembrò particolarmente elegante e raffinata, in parte grazie anche a quel suo nome aristocratico così poco comune nel sud Italia.

Mia madre fece un certo periodo in collegio nella sua infanzia, pur essendo di ottima famiglia, perché orfana di madre. Al tempo per assicurare un’ottima istruzione e conoscenza delle buone maniere in tali sfortunate situazioni, si spedivano i figli in collegio. Questo mi ha fatto sempre vedere mia madre, da bambina, come una sorta di mix tra Pollyanna e Candy Candy.

Il mio nome da piccola lo tolleravo a mala pena. Non riuscivo a trovare nessuno con il mio stesso nome. Mi sentivo una sorta di Gulliver nel mondo dei Lillipuziani. Ero alla ricerca di un mio alterego, uno che avesse il mio stesso nome. Pensavo “Chissà quanto sarebbe figo poter dire, ma dai anche tu ti chiami così? Abbiamo lo stesso nome”.

Non so per quale motivo, ma da piccola questa cosa, mi sembrava di imprescindibile bellezza.

Crescendo poi ho imparato ad apprezzare più il mio nome per la sua particolarità, e quelli che un tempo erano meravigliosi nomi comuni, un giorno divennero nomi sputtanati.

E ora veniamo a N come Nicolò.

Quando Nicolò non era ancora Nicolò, ma era fagiolino, di sesso indefinito, io e Fab ci siamo lanciati, non avendo molto altro da fare oltre che prendere integratori e correre in bagno per le nausee, in una ricerca matta e disperata del nome perfetto.Uso il plurare perchè Fab si è sempre immedesimato nella mia gravidanza, arrivando ad oggi che è al sesto mese pure lui.

A me piacevano i nomi da bambino Niccolò e Mattia, Fab all’elenco cancellava Mattia aggiungendo Lorenzo. Niccolò mi disse che se pur molto bello lo preferiva nella versione con una c. Io continuavo a tifare per la versione con due c.

Alla fine ci accordammo che per un maschietto il nome più papabile sarebbe stato Nic(c)olò, una volta appurato il numero di c da inserire

Sulle femminucce eravamo molto più indecisi, io avrei voluto un nome ben augurante come Gaia, Ludovica, Azzurra, Aurora, al contrario Fab considerava questi nomi un pò troppo stucchevoli  ed era in un trip con i nomi Fiammetta e Camilla.

Alla fine l’ecografista ci decretò un maschietto e quindi la fine dei giochi. Avevamo il nome, bisognava appurare solo il numero di c.

Il nome Niccolò lo avevo proposto io perché era legato ad un ricordo di bambina. Ero incappata nel nome, leggendo il Milione, il libro di Marco Polo, in una versione riadattata per bambini. Niccolò era il padre del leggendario Marco. Quel nome mi sembrò all’epoca così particolare con le due C e  l’accento sulla O. Mi sembrò un nome che profumasse di spezie, di avventure lontane di mondi sconosciuti. E’ per lo stesso motivo che ora volevo darlo a mio figlio.

Tornando a Lecce per le vacanze di Pasqua, andai a cercare tra i miei libri di infanzia, il Milione. Con mio grande stupore mi sono resa conto che ricordavo male, il padre di Marco Polo non si chiamava Niccolò ma Nicolò. Davanti a questo, non sono riuscita più a convincere Fab che Niccolò era comunque preferibile, o almeno quello che io preferivo. Dopo una serie di prese in giro da parte di Fab, il nome Nicolò  con una sola c è stato acceso come definitivo.
Questa è la storia della scelta del nome. In realtà ne esiste un’altra di eguale fascino, se non maggiore, per la quale sembra che sia il nome che abbia scelto noi.



Cercando sul libro dei nomi, il significato di Nicolò, una volta orami già decretatolo come definitivo, ho magicamente rivisto  nel significato del nome la nostra storia.

Ve la riporto di seguito.

Nicola, Niccolò, Nicolò, Nicoletta derivano dal nome greco e bizantino Nikolaos, composto da nike “vittoria” e laos “popolo, moltitudine”,  e significa “vincitore tra i popoli”.

Quale miglior modo per definire una gravidanza così tanto cercata e così tanto attesa?!

In latino divenne Nicolaus. Nicola, vescovo in Asia Minore nel III secolo, per il suo spirito caritatevole venne considerato Santo quando era ancora in vita. Fu martorizzato e ucciso durante le persecuzioni contro i cristiani dell’imperatore Dioclezano. Canonizzato Santo viene festeggiato il 6 Dicembre. La fama del Santo è universale; è il leggendario Santa Claus dei Paesi Anglosassoni e il Nikolaus della Germania, i dispensatori dei doni della notte di Natale.

Quando l’ho letto non ci potevo credere.
E’ insomma il mitico Babbo Natale!!!! Il concepimento di Nicolò è venuto a conti fatti proprio la notte di Natale, come meraviglioso dono lasciato a noi da Babbo Natale.
Quel nome apparteneva al bambino più di ogni altra cosa. E ne ho avuto conferma solo quando lo avevo già scelto.

mercoledì 8 maggio 2013

Morfologica: finding rene


Tutti mi dicevano che l’ecografia morfologica sarebbe stata la più bella di tutte. “Goditela” dicevano “perché altre ecografie così non ce ne sono”.

A storia passata mi vien da dire “E ringraziamo il cielo che è unica nel suo genere!!!”.

La mia morfologica è stata lunga, difficile, snervante, straziante.

Nicolò per tutto il tempo è stato di schiena, raggomitolato su se stesso come un gatto acciambellato su una sedia. Con le braccia davanti al corpo giocherellava con le sue lunghe gambe e per trincerarsi ancora meglio dall’ecodoppler stringeva a sé anche il cordone ombelicale.

Se questo non bastasse ha avuto il singhiozzo tutto il tempo. Salterellava con moto perpetuo, mandando in tilt il segnale dello strumento.

Il primo appuntamento era alle 10 del mattino. Alcune cose si sono viste subite, altre Nicolò non ce le concedeva.

“Ritorni alle 12.00 signora, sperando che suo figlio diventi più collaborativo. Mangi qualcosa di dolce, magari cambia posizione”

In quell’ora di buco siamo andati all’ospedale dove è previsto il mio parto per capire se fosse possibile frequentare lì un corso pre-parto, ma dopo aver bussato diverse porte non siamo riusciti a trovare nessuna informazione utile.

Alle 12.00 eravamo di nuovo puntuali davanti la porta dell’ecografista. Secondo tentativo, identico risultato. Bambino di spalle e poco collaborativo.

Siamo andati avanti fino alla quarta ecografia, alle 19.00 di sera.

Nell’ultima indagine il dottore mi dice
“Signora le spiego perché la sto facendo venire tante volte. Il problema è che dall’ecografie si vede un solo rene. Speravo che fosse dovuto alla posizione poco favorevole del bambino, ma anche ora che il bambino è un po’ più fermo, questo rene non appare.
A volte capita che il rene si nasconda nella parte addominale e che magari si riesca ad avvistare solo alla ventottesima settimana, però io ho provato a cercarlo anche in quella zona ma non lo trovo. Speravo di vedere quanto meno l’arteria che porta al rene, e anche se a volte avevo l’impressione che ci fosse qualcosa, poi il segnale spariva. Io penso che quindi quelle macchie che vedevo fossero un effetto del movimento costante di suo figlio. Vede, qui parte l’arteria che porta al rene destro, e mi sarei aspettato che dalla parte opposta ci fosse l’arteria sinistra che va al suo rispettivo rene, ma come può notare il campo è completamente buio. Il rene non c’è e la stessa cosa si può dire per la sua arteria.
Provi a rivenire mercoledì mattina, per esser sicuri di aver provato di tutto, ma lo scenario l’avverto è questo. Il bimbo in questo momento è fermo, e comunque, nonostante ciò, non si riesce a vedere nulla.”

Il dottore era stato chiaro. Il bimbo quasi certamente aveva un solo rene. Potevo sperare nel miracolo e che un rene mi piovesse dal cielo alla ventottesima settimana, ma l’eventualità era remota.

Mi ripetevo che si vive bene anche con un rene, che c’è gente che se ne accorge solo da adulto, però gli altri sono gli altri, tuo figlio è tuo figlio. E se non era solo un problema di rene, ma che ci fosse una malformazione nell’intero apparato urinario, come poterlo ricostruire su un bimbo di sesso maschile? La scienza riusciva a fare simili miracoli?

Ho pianto tanto, infinitamente tanto. Poi mi risollevavo e dicevo che ci sono patologie peggiori, che alla fine mi potevo ritenere fortunata. Fab cercava di sollevarmi. Mi diceva che se stavo giù, facevo stare male anche il bambino, ma per quanto provassi a riprendemi stavo a pezzi.
Tra un pianto e l’altro siamo arrivati ad oggi.

Ci siamo alzati di buon ora. Era una bellissima giornata, a differenza di lunedì. Siamo andati dal dottore, preparati ad ascoltare la storia dell’unico rene.

L’aria calda comunque mi infondeva una certa energia positiva. Mentre andavo pensavo “ok ha un solo rene, però sono sicura che tutto il resto va bene. E’ un bambino speciale. E’ un po’ come Nemo e la sua pinnetta trofica. Ce la possiamo fare. Siamo arrivati fin qua e non dobbiamo abbatterci, dobbiamo arrivare fino alla fine. Se ci sono problemi si affronteranno uno alla volta”.
Mi sono sdraiata su quel lettino pensando che non dovevamo abbatterci.

Il dottore passava il gel freddo dell’ecografo sulla mia pancia e io cercavo di svuotare la mente dai pensieri negativi.

“Quale rene si vedeva e quale è da confermare?” ha chiesto il dottore al suo assistente, che sfogliava i nostri incartamenti della gravidanza.

Io e Fab ci siamo guardati. Detto così sembrava che forse qualche speranza ancora ce l’avevamo di avere un figlio munito del set completo di reni.

Fab mi ha fatto l’occhiolino, per infondermi coraggio, io gli ho sorriso.

Il dottore ha iniziato ancora una volta a cercare il nostro rene scomparso. Finding reni. Una ricerca lunga, silenziosa, estenuante. Mentre il monitor proiettava alla parete le immagine del ventre di mio figlio, all’interno del mio ventre io gridavo nel silenzio della mia mente “Nicolò caccia sto rene. Ti prego, Nicolò a mamma, fai saltare fuori sto rene!”

Alla fine il dottore ha rotto il silenzio

“Eccolo. Era nascosto dall’intestino. Ora si vede. Ha anche la ghiandola surrenale. E’ tutto a norma”.

Ho pianto in silenzio, mentre il dottore continuava le sue indagini. Fab ha alzato lo sguardo al soffitto a ringraziare chi da lassù ci ha fatto piovere in testa un rene. Poi mi ha accarezzato i capelli.

Ce l’avevamo fatta. Ce l’avevamo fatta insieme a superare anche questa.

Una foto del dolcissimo sorriso di mio figlio, che sembra sorridere dopo lo scherzetto che ci ha fatto

lunedì 6 maggio 2013

Tra farfalle e falchi


Volendo io e Fab conservarci i giorni di ferie per dopo la nascita del pargolo, quest’anno abbiamo deciso di rinunciare al magnifico ponte che cadeva tra il 25 Aprile e il 1 Maggio. Il tempo però dei giorni festivi era però troppo bello per rimanercene soli a casa, sconsolati mentre tutto il mondo fuori si divertiva, e così zaino in spalle, siamo partiti per una breve gita fuori porta. Abbastanza breve da permetterci di ritornare a casa per sera senza dover cercare un posto in albergo.

Mia sorella casualmente, sapendo ciò, aveva fatto scivolare tra le nostra  mani il volantino dell’azienda Bigserpens. Tale azienda organizzava per il week-end 27/28 aprile un incontro-formativo in cui si poteva ammirare e imparare a conoscere di più il mondo delle farfalle, dei falchi, e dei serpenti.

E se la natura chiama….. io e Fab rispondiamo come due api al miele.

L’azienda Bigserpens alleva bachi da seta, crisalidi farfalle, nel cuore del lazio (Paliano, Fr), per fini di scientifici e naturalistici. Ovviamente non potendo vivere di sola ricerca, l’azienda ha saputo inventarsi una piccola fetta di mercato intorno a tali elementi che le permette quindi un proprio circuito economico.


L’azienda infatti produce camole di miele che trovano un largo utilizzo nel mondo della pesca.




Collabora con wedding planner per la realizzazione di cesti contenenti farfalle che vengono poi liberate all’uscita degli sposi dalla chiesa. Questa nuvola di farfalle che si posa su sposi e invitati crea un  effetto romantico, che viene molto apprezzato dai fotografi di matrimonio.



Le farfalle non vengono liberate dagli sposi solo a fini scenografici per il matrimonio ma anche per scopi naturalistici. L’azienda infatti prima di allestire il cesto degli gli sposi, effettua delle valutazioni naturalistiche- ambientalistiche del territorio. Nel cesto verranno quindi inserite farfalle che troveranno in quei luoghi i propri habitat naturali e non avranno quindi problemi ad ambientarsi. In aggiunta le farfalle vengono poste nel cesto quando sono pronte per la deposizione, questo permette quindi un ripopolamento di farfalle dei luoghi dove il matrimonio è stato celebrato in poco tempo.

Le farfalle allevate dall’azienda Serpens vengono usate inoltre per scenografie cinematografiche e teatrali.

At least but not last, l’azienda organizza delle giornate formative, come quella a cui abbiamo partecipato noi, in cui è possibile avvicinarsi al magico mondo delle farfalle.

La visita guidata all’interno dell’azienda viene condotta dall’etnomologa  Donatella di Cola, che con grande entusiasmo spiega ogni piccolo segreto di questi variopinti insetti.

Racconta al suo pubblico il mistero della costruzione dei preziosi bachi da seta



Di come le farfalle per difendersi grazie all’evoluzione abbiano imparato a mimetizzarsi con l’ambiente circostante, ad esempio assumendo le sembianze di foglie secche


O di gufo


E se la civetta si risentisse, c’è una farfalla anche per lei


Di farfalle alla Bigserpens ce ne sono quindi per soddisfare qualsiasi gusto. E noi di quelle farfalle ci siamo arricchiti.


Grazie all’azienda inoltre è possibile partecipare  ad una lodevole iniziativa: adotta una farfalla. Partecipare quindi personalmente alla protezione e alla salvaguardia delle farfalle in via di estinzione.



Noi, con un contributo di sette euro abbiamo portato a casa  una crisalide.




Ma della storia della crisalide parlerò però al prossimo post ;).

Se BigSerpens  è molto attiva nella salvaguardia delle farfalle, lo stesso giorno abbiamo potuto conoscere un’altra associazione che con lo stesso entusiasmo si batte per il mondo dei falchi, la Italian Falconary
.

La Italian Falconary è una scuola di falconeria che forgia ottimi falconieri basandosi sul far apprendere al novizio tutto ciò che serve per conoscere questa nobile arte.


La scuola ha portato in esposizione dei bellissimi esemplari di rapaci notturni.
Belli vero?

Ma il mio preferito è mr Allocco.


E dopo aver raccolto consensi e complimenti da tutti, questi giovanotti alati hanno dato bella dimostrazione di sé in volo.

Guidate dalle braccia esperte dei falconieri, e dai loro forti richiami hanno dispiegato le loro ali sopra i nasi all’insù del loro pubblico.

E dopo i falconieri anche il pubblico ha potuto provare il brivido di vedere un falco arrivare in picchiata sul proprio braccio, per poi accovacciarsi su di esso giusto il tempo di sgranocchiarsi un boccone.

Per motivi di privacy non aggiungo le foto, ma mi piace sottolineare che i più scalmanati a rispondere alla domanda “chi vuole provare?” son stati i bambini.

E son stati di parola. Ho una bellissima foto di un bambino che stende il braccio per far star comodo il falcone ma in contemporanea chiude  gli occhi per lo spavento.

E noi ci abbiamo provato?!?!?!?! Seeeeeeee… ma de che…..

Per chi fosse interessato ad Ottobre è prevista un evento simile. Ho già aggiunto gli iperlink dei rispettivi siti, per chi volesse saperne di più.

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