martedì 30 settembre 2014

Fototessera

Quando apro un mio documento di riconoscimento e guardo la mia foto rimango sempre un po’ interdetta. Perché?! Perché ho permesso che questo accadesse?!?!  Perché non mi sono data un’altra possibilità…

Uno dei pochi punti fermi della mia vita è che io nelle fototessera esco sempre con la faccia del pesce lesso.

Carta d’identità, patente, passaporto, badge del lavoro, documenti diversi, età diverse, acconciature diverse unico comune denominatore: aspetto immondo.

Quando mi trovo davanti al fotografo seduta sulla classica sedia con dietro uno sfondo bianco e mi sento dire “sorridi”,  io improvvisamente mi sento una stupida. Mi imbarazzo. Mi sento goffa. Non riesco ad assumere una posizione normale. Mi si irrigidisce la muscolatura del viso e mi contraggo in un sorriso che sembra più una smorfia di dolore.

“Conto fino a tre: al mio tre sorridi… uno… due … tre!”

E niente. E’ la fine. La naturalezza del rigor mortis.

Il fotografo scatta le  tre foto, e mi dice di scegliere. Una peggio dell’altra, indico una o l’altra, tanto è uguale, tutto a costo di far finire il più velocemente il supplizio.

Consegno le foto al dipendente del comune, della motorizzazione o chicchessia, pensando “tanto chi se ne frega….” . Poi vedendomi consegnato il documento con la foto dello stoccafisso in questione, così indelebilmente e inesorabilmente incastonato nella carta ambrata, mi maledico.

“Mi sarei dovuta dare un’altra possibilità, Sono la solita! Ora per 10 anni avrò sto scorfano che viaggia con me nella borsa”.

In questi giorni, mi è scaduta la carta d’identità. In realtà in questi mesi, ma facciamo finta che siano giorni. E’ più dignitoso.

Non ho alternative devo rinnovare il documento, ergo devo farmi una nuova fototessera.

Decido che questa volta mi sarei risparmiata l’agonia della posa davanti al fotografo, in favore di un più pratico scatto alla macchinetta vicino casa. Ho mal di testa, occhiaie, e voglia di fare foto zero, ma non ho alternative, il giorno dopo devo fare la fila al comune per rinnovare il documento.

Infilo la banconota da 5 euro e prendo posizione nell’abitacolo. Una voce di donna stridula, mi da le indicazioni. Primo scatto. Riguardo il risultato. Ho lo sguardo misteriosamente volto a destra. Scarto la foto.  Seconda possibilità. Secondo scatto. Attendo l’anteprima. Niente da fare, casso anche la seconda foto. Terzo tentativo. L’ultimo. Scatto.  Guardo l’anteprima.

O yeeesssss!

Mi piaccio. Mi osservo nel monitor e vedo che la foto è anche meglio della realtà. Per un effetto della luce, non si vedono le occhiaie, non ho un viso spento da mal di testa, ed ho un sorriso Durbans, con la naturalezza di chi è del mestiere, come se passassi la mia vita a farmi fotografare nelle macchinette.

Non ci posso credere, finalmente un documento con una foto decente.

Premo il tasto per dare l’ok della stampa. Scosto la tenda ed esco tronfia in attesa del mio capolavoro. Ho un volto che mi sorride. In fondo se voglio, io sono Durbans.


La macchina mi sputa le foto. Ecco il risultato. Non dico altro.


giovedì 25 settembre 2014

In metro

In metro una ragazzina piange. Io sono nello stesso vagone. In piedi perché quando ritorno dal lavoro mezza Roma torna dal lavoro. Mezza Roma prende la mia stessa metro, si infila nel mio stesso vagone e si immerge in un libro che potrebbe essere il mio.

La ragazza piange. Ha i capelli biondi, lunghi, che le scendono svogliati sulle spalle. Veste sportivo, come la maggior parte delle ragazze alla sua età. E’ in compagnia di un amico, un tipo lungo e allampanato, che sembra disegnato a  tratti di una matita di Andrea Pazienza.

-         - Mi ha detto che per lui non ero grande abbastanza… Mi ha lasciato perché diceva che sono ancora una bambina -

Lo dice sputando le parole, tra lacrime, rabbia e amore.

-         - Mi verrebbe voglia di comportarmi… come una di quelle… uscire per strada e prendere il primo che capita e…. -

Non trova il coraggio di finire la frase

-       -  Insomma hai capito… ma non lo faccio! -

Io alzo lo sguardo dal libro e la guardo. Mezza Roma, mezza metro, mezzo vagone la fissa. Ma lei è avvampata dalla rabbia e continua a sproloquiare tra angoscia e rancore, senza accorgersi che sta attirando l’attenzione di tutti.

Mi sento in imbarazzo, io, e ritorno sulle pagine del mio libro. Non riesco ad ogni modo a ritrovare la concentrazione per farmi rapire nuovamente dalla trama, e finisce che cincischio perdendomi nei vuoti tra le parole delle pagine e ascolto lo sfogo della ragazza

-        - Lascia stare. –avrei voluto dirle -  Lascia stare perché non ne vale la pena. Quelli così stanno bene dove stanno. Non ti crucciare. Il mondo è pieno di quella gente. Quelli così li troverai fra dieci anni casualmente su facebook e scoprirai che avranno la panza, una grossa stempiatura in testa, e una moglie scorfano al fianco. Quelli così poi passano da adulti i week end ai centri commerciali, perché la moglie scorfano ha anche un pessimo carattere, e un’insana passione per gli ambienti chiusi
 I belli e tenebrosi a vent’anni sono delle amebe a trenta. I figoni dell’adolescenza purtroppo non riescono a mantenere gli standard alti per tutto il resto della vita, e improvvisamente, senza manco rendersene conto, ti precipitano in un abisso di nullità e inettitudine.
Ci sono altri su cui puntare.
Il ragazzo medio, quello che non gli avresti dato due lire, quello timido, che è un carino moderato, simpatico, ma non troppo, quello che non si fila nessuno di pezza, perché è quotato poco, perché lui al centro dell’attenzione proprio non ci vuole stare… beh quello ti può fare il salto di qualità. Ha tutti i numeri giusti, lo devo solo scoprire. Quel ragazzo te lo ritrovi a trenta che è sbocciato. Si è iscritto in palestra, frequenta un’ottima facoltà, ha un bel giro d’amicizie con cui passa i week end in sella ad una moto. Quel ragazzo a trenta avrà il mondo ai suoi piedi. -

Avrei voluto chiudere il libro, mettere una mano sulla spalla di quella ragazza e dirle tante cose. Ma non ho detto nulla. Alla mia fermata sono scesa, ed ho lasciato lei andare incontro al proprio destino.
Ho parlato a me stessa, quella Bussola di tanti anni fa, che ha pianto sempre per la persona sbagliata, convinta invece che fosse il suo unico grande amore della vita.


Se avessi avuto una vita per ogni amore sbagliato perso a quest’ora sarei Infinito.

sabato 20 settembre 2014

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