Quando apro un mio documento di riconoscimento e guardo la
mia foto rimango sempre un po’ interdetta. Perché?! Perché ho permesso che
questo accadesse?!?! Perché non mi sono
data un’altra possibilità…
Uno dei pochi punti fermi della mia vita è che io nelle fototessera
esco sempre con la faccia del pesce lesso.
Carta d’identità, patente, passaporto, badge del lavoro, documenti
diversi, età diverse, acconciature diverse unico comune denominatore: aspetto
immondo.
Quando mi trovo davanti al fotografo seduta sulla classica
sedia con dietro uno sfondo bianco e mi sento dire “sorridi”, io improvvisamente mi sento una stupida. Mi
imbarazzo. Mi sento goffa. Non riesco ad assumere una posizione normale. Mi si
irrigidisce la muscolatura del viso e mi contraggo in un sorriso che sembra più
una smorfia di dolore.
“Conto fino a tre: al mio tre sorridi… uno… due … tre!”
E niente. E’ la fine. La naturalezza del rigor mortis.
Il fotografo scatta le tre foto, e mi dice di scegliere. Una peggio
dell’altra, indico una o l’altra, tanto è uguale, tutto a costo di far finire
il più velocemente il supplizio.
Consegno le foto al dipendente del comune, della
motorizzazione o chicchessia, pensando “tanto chi se ne frega….” . Poi
vedendomi consegnato il documento con la foto dello stoccafisso in questione,
così indelebilmente e inesorabilmente incastonato nella carta ambrata, mi
maledico.
“Mi sarei dovuta dare un’altra possibilità, Sono la solita!
Ora per 10 anni avrò sto scorfano che viaggia con me nella borsa”.
In questi giorni, mi è scaduta la carta d’identità. In
realtà in questi mesi, ma facciamo finta che siano giorni. E’ più dignitoso.
Non ho alternative devo rinnovare il documento, ergo devo
farmi una nuova fototessera.
Decido che questa
volta mi sarei risparmiata l’agonia della posa davanti al fotografo, in favore
di un più pratico scatto alla macchinetta vicino casa. Ho mal di testa,
occhiaie, e voglia di fare foto zero, ma non ho alternative, il giorno dopo
devo fare la fila al comune per rinnovare il documento.
Infilo la banconota da 5 euro e prendo posizione nell’abitacolo.
Una voce di donna stridula, mi da le indicazioni. Primo scatto. Riguardo il
risultato. Ho lo sguardo misteriosamente volto a destra. Scarto la foto. Seconda possibilità. Secondo scatto. Attendo l’anteprima.
Niente da fare, casso anche la seconda foto. Terzo tentativo. L’ultimo.
Scatto. Guardo l’anteprima.
O yeeesssss!
Mi piaccio. Mi osservo nel monitor e vedo che la foto è
anche meglio della realtà. Per un effetto della luce, non si vedono le
occhiaie, non ho un viso spento da mal di testa, ed ho un sorriso Durbans, con
la naturalezza di chi è del mestiere, come se passassi la mia vita a farmi fotografare
nelle macchinette.
Non ci posso credere, finalmente un documento con una foto
decente.
Premo il tasto per dare l’ok della stampa. Scosto la tenda
ed esco tronfia in attesa del mio capolavoro. Ho un volto che mi sorride. In
fondo se voglio, io sono Durbans.
La macchina mi sputa le foto. Ecco il risultato. Non dico
altro.