mercoledì 26 marzo 2014

Io parto da qui

“Fai cacca, fai cacca!!!” diceva l’ostetrica, una ragazza dolce, con i capelli lisci castani che le incorniciavano un viso da brava ragazza. Mi teneva le gambe aperte bloccate per le caviglie e mi incitava a spingere.

Nella stanza risuonava il cardiotografo. Il battito del bambino era incalzante poi ad ogni contrazione si perdeva. Io spingevo, simulavo di fare la cacca come mi aveva spiegato la ragazza, incanalavo la forza prorompente della contrazione spingendo verso il basso, e guardavo il foglio di carta uscire dal cardiotografo.

Ogni volta che c’era la perdita del battito cardiaco, la linea del battito si interrompeva. Rimanevo in apnea io in quel silenzio che durava qualche secondo. Sospesa in quello spazio bianco, di linea frammezzata.

“E’ normale, capita, probabilmente avrà qualche giro di cordone ombelicale intorno al collo”.
A me non sembrava usuale.

“Fai cacca, fai cacca!!!”

Un’altra fitta lancinante. Vedevo le stelle.

“Vi prego toglietemi l’ossitocina, non ce la faccio”

Ero stata calma, gentile. Anche nel dolore più acuto avevo mantenuto il controllo. Mentre in una stanza accanto alla mia si sentivano urla strazianti di donna, io rimanevo composta anche nel dolore. Non volevo creare problemi, volevo solo che finisse tutto in poco tempo e volevo solo conoscere mio figlio.

Quel “Vi prego toglietemi l’ossitocina” lo avevo implorato, detto frammezzato tra i denti, sussurrato dalla lingua misto al sapore di lacrime.

“Non possiamo, proprio ora che le contrazioni sono diventate perfette” mi aveva risposto la ragazza, mostrandomi dal foglio sputato fuori dal cardiotografo dei picchi alti e stretti a decorso regolare, immagine delle mie contrazioni

“Se vuoi possiamo fare un’altra epidurale”

Il travaglio era partito da venti ore. Venti ore che mi erano sembrate un tempo infinito. Interminabili come venti anni. Un’intera notte ad aspettare che il parto si aprisse, un’intera mattinata ad attendere che le contrazioni diventassero dell’intensità giusta, e poi quando finalmente mi ero ritrovata a spingere e a pensare che di lì a poco tutto sarebbe finito, mi ritrovavo in quella stanzetta a macinare acqua.

Spingevo, ma dopo venti ore di travaglio non avevo più nemmeno la forza di muovere i pensieri, figuriamoci il corpo.

“Come va qui?”

Disse la mia dottoressa, appena entrata nella stanza a controllare, sorridendomi con la sua encomiabile dolcezza

“Il bimbo si è incanalato, sento la testa, ma non scende. E’ bloccato all’altezza del gomito del canale”. 

L’ostetrica fece spazio alla dottoressa perché potesse controllare anche lei.

“Voglio il cesareo, non è possibile avere un cesareo?”

Per l’ennesima volta le parole mi uscivano come una supplica.

“Ma come un cesareo? Dopo tutto questo?”

Non capii il senso di quelle parole, e nella concitazione di quei momenti mi ritrovai a desistere al primo tentativo, completamente in balia di quegli istanti.

La dottoressa mi spiegò che avrebbe chiamato un suo collega, per decidere insieme. Dopo poco vidi far capolino dalla porta i due camici bianchi.

Il nuovo dottore fu scortese. Sferzante. Glaciale.

“Lei è poco collaborativa, quando le dicono spinga deve spingere, così non andiamo da nessuna parte!”

Erano venti ore che non mangiavo, non dormivo preda solo di dolori da contrazioni. Non avevo un filo di energia , ma quel poco che mi restava l’avrei volentieri usata per spaccare la faccia a quel dottore.

Che ne poteva sapere di come si stava nella mia condizione? Perché non ci si metteva lui su quel lettino a spingere una parte del corpo che ti è intima ma allo stesso tempo estranea?

Lasciai che il silenzio portasse via le sue arroganze, e i miei dissapori.

“Che ne dici se facciamo la manovra?” disse la dottoressa al collega

Il dottore si raddrizzò sul collo come un cappone, a voler indicare il suo non completo accordo sull’ipotesi. 
Poi alla fine l’idea della manovra fu quella che prese il sopravvento.

“Ora ti portiamo una stanza e ti diamo una mano in questo parto, ma tu devi mettercela tutta”

Quelle parole mi scivolarono addosso come acqua fresca in bocca dopo una lunga corsa. Finalmente vedevo una fine. Non ce la facevo più. Ero arrivata. La cosa si era rivelata al di sopra delle mie capacità. Mi avessero fatto qualsiasi cosa, a me andava bene, basta poter veder l’epilogo di quella giornata e quindi il volto di mio figlio.

Mi trasferirono in sala operatoria. La sala si gremii di medici. Capii che quello che stava per succedere era qualcosa di non ordinaria amministrazione.

Mi si avvicinò il dottore e mi parlò questa volta con voce calma e stranamente amabile. Percepii la tensione sul volto di tutti.

“Il tuo bambino è rimasto bloccato all’interno del canale. Tu non riesci a spingerlo fuori, proviamo quindi ad intervenire noi da fuori. Prima la dottoressa e poi io spingeremo sulla tua pancia. Quando senti la spinta tu devi spingere insieme a noi altrimenti sarà doloroso. Hai capito?”

Annuii

“E’ importante che tu spinga”

Annuii per la seconda volta.

La dottoressa cinse un lenzuolo ad una sponda del lettino. Tutti presero posizione come soldatini di latta per gioco delle mani di un bambino.

“al mio tre” disse la dottoressa.

La sentii contare: l’uno, il due …il tre non lo percepii. Mi sentii scaraventata in cielo dal dolore e poi da lì ricadere rovinosamente sulla terra. Aveva spinto con i gomiti sul mio pancione, tenendosi aggrappata al lenzuolo saldato al lettino. Il dolore era stato inimmaginabile.

Dalle gambe avevo sentito sgusciare fuori qualcosa. Nessun pianto. Niente. La spinta non era stata del tutto sufficiente. Non avevamo finito.

Questa volta si mise in posizione il dottore. Per la seconda volta morii dal dolore, per poi riprecipitare sul mio lettino di ospedale.

Una sensazione di qualcosa che sguscia dalle gambe. “Si era incanalato con il braccio” dissee qualcuno “ecco perché si era incastrato”.

Un pianto irruppe nella stanza. Un pianto che io percepii infrangere le finestre della stanza, disperdersi per le colline, raggiungere le vette della montagna, correre sulle ali dei gabbiani, sospinto dal vento, dalla vita, da Dio.

Un pianto che mi rendeva madre. Un pianto che mi faceva partecipe di quel grande miracolo che è la vita.


Ce l’avevamo fatta. Io e mio figlio ce l’avevamo fatta

Con questo post partecipo a questa bellissima iniziativa: io parto da qui



18 commenti:

  1. Sto piangendo, tremando, quasi vomitando.
    Io a causa del mio parto ho iniziato un percorso di psicoterapia. E poi dicono che la nascita è una cosa bella, naturale, spontanea e bla bla bla.
    Grazie delle tue parole bussolina: leggere altre esperienze fa comunque sempre bene al cuore.

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    1. Lo so... la gravidanza ci ha reso vicine per quanto lontane... uno smack al tuo capolavoro... ricorda che io ti aspetto a Roma

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  2. tremendo e meraviglioso così com'è anche la vita....grazie:-))

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  3. Davvero, doloroso quanto emozionante... ma chi se lo scorsa più quel pianto che ti ha inondato il cuore?

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    1. Sabina partecipa pure tu... che il tuo bimbo è veramente fuori gli standard e il tuo parto mi incuriosisce molto

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  4. Mi hai fatto venire la pelle d'oca, e grazie di aver partecipato!

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    1. grazie a voi per l'iniziativa.... mi è piaciuto rituffarmi in quei momenti

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  5. bhuauuuaaaaah non puoi fare questo ad una donna in pieno ormone ;-)
    Cavoli sei stata bravissima! Io sarei capitolata al cesareo ben prima...anche se e' vero che quando sei in ballo, balli...e le forse in qualche modo le trovi - e' proprio un miracolo.

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    1. Hai ragione sfolli.... Ti chiedo scusa.... Il viso mio sotto i piedi tuoi :) come dicono a Napoli

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    2. hehhehe ma io scherzavo, e poi e' una storia troppo commovente per non raccontarla! :-)

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  6. belllllllllloooooooooooooooooooooooo.

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  7. La tua descrizione è stata incredibile, anche a me hanno fatto la manovra di Kristeller (e non solo)...quel dolore che ora io sento tanto lontano ci ha fatto diventare madri. ;) Kiki

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    1. oddiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiioooooooooooooooo sei diventata madre?!?!?!? Auguriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii Devo venire a leggere

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  8. Grazie! e grazie a questa idea ti ho scoperta ;-)

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  9. Quale amorissimissimo. Noi donne spacchiamo tutto e tutti ♡

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