Lei aveva venticinque anni, lui
sessantacinque. Avevano poche cose in comune eccetto l’autobus che tutti i giorni li portava
all’università. Lei era studentessa prossima alla tesi della facoltà di
chimica, lui professore prossimo alla pensione nella facoltà di fisica. La
prima volta si erano seduti accanto per caso, perché non c’erano altri posti
liberi, la seconda anche, la terza per caso iniziarono a parlare.
Lei aveva uno zaino pieno di
sogni, lui uno zaino pieno di esperienza, entrambi ammiravano dell’altro quel
carico prezioso. Di giorno in giorno, capitò spesso di sedersi vicino e di
parlare del più e del meno in quel breve tratto del percorso del bus. Erano un
anziano e una giovane e si sentivano in qualche modo come nonno e nipote. Erano
un ponte tra due generazioni diverse. Erano un ponte che per vari motivi non si
era eretto all’interno delle loro famiglie.
Alle otto del mattino su quel bus
circolavano sempre le stesse facce, per lo più gente che in qualche modo aveva
a che fare con l’università: giovani studenti, professori, ricercatori,
inservienti. In genere gli anziani
professori superavano di gran lunga in numero i giovani studenti che
preferivano altri mezzi di trasporto come il motorino.
Lei in quel tragitto si affezionò
ad altri attempati docenti, e loro a lei. Si era creato senza volerlo uno strano rapporto di
protezione, per cui il grande membro prende
sotto l’ala protettrice il giovane, e cerca di tramandare a questo quello che
di più prezioso ha: la conoscenza. In breve tempo lei finì per diventare la mascotte di quel bus numero
4 di vetusti occupanti.
Alla fine dell’anno accademico,
nella sessione di luglio lei si laureò. Sulla sua tesi oltre ai ringraziamento
per famiglia, amici e conoscenti scrisse anche due righe per ricordare quel bus
4 e i suoi dotti nonnetti che per un anno le avevano tenuto compagnia con le
loro storie di scienza e di altri tempi.
L’anno successivo lei partì in
un’altra città in cerca di futuro e con la certezza di lavoro. Ai suoi
vecchietti pensò ogni tanto con nostalgia, perse i contatti più mo meno con
tutti tranne che con lui, che era stato il primo a rompere quel suo scudo di
timidezza.
Un giorno mentre era nel suo
nuovo ufficio la cartella dei nuovi messaggi della sua cartella di posta
elettronica iniziò a lampeggiare: era lui. Era una mail triste in cui le diceva
che stava attraversando un periodo difficile a causa della morte di sua moglie
e dell’arrivo della pensione che gli lasciava troppo tempo da trascorrere nella
tristezza delle mura domestiche. Era passato più di un anno dai tempi
dell’università, e lei completamente assorbita dal nuovo lavoro aveva finito
per lasciare affondare nella polvere della memoria quei vecchi ricordi,
ritornati melanconici in superficie a seguito della ricezione di quella mail.
Lei rispose dopo un giorno. Gli
scrisse cose carine per cercare di tirargli su il morale. Gli scrisse che era
una persona in gamba e lo aveva tanto ammirato per quei suoi discorsi posati
nel tragitto di quel bus 4 di qualche tempo fa.
Inviò la mail e ritornò alle sue carte, pensando che la cosa non avesse
seguito. Seguirono invece altre e-mail il cui tono di lui era sempre più
depresso. Il tono di lei divenne quindi sempre più accorato temendo che lui
potesse commettere un gesto estremo per porre fine a quella sequela di tristi
eventi.
Il week end dei morti lei rientrò
nella sua città. Lui le chiese un incontro, perché gli faceva piacere ascoltare
una voce amica che aveva avuto orecchie nei suoi momenti difficili. Lei provò
una certa soggezione alla richiesta ma poi decise di accettare perché rifiutare
le sembrava ingiusto infondo lui le stava chiedendo aiuto. Si diedero appuntamento
alla fermata del bus 4, l’unico loro punto in comune.
Lei si meravigliò quando lo vide
arrivare in macchina. Si era parlato di una passeggiata a piedi, la macchina
non era prevista. Ad ogni modo quando lui le fece cenno di entrare in macchina
che avrebbero fatto un giro, lei come un soldatino aprì la portiera e si
infilò. In fondo, non era uno sconosciuto, in fondo era una persona di cultura,
in fondo era una persona che stava soffrendo la solitudine e chiedeva il suo
aiuto.
La macchina si perse tra la
sequela di macchine che affluivano sulla via Appia di domenica pomeriggio. Lei
guardava dal finestrino i resti delle mura romane che merlettavano il Parco
degli Acquedotti , lui guidava sicuro. Dopo qualche chilometro di marcia lui
tirò il freno una volta giunti su una stradina periferica che sbucava nelle
campagne romane. Lei trasalì.
Finale 1.
Lei chiese come mai lui l’avesse
condotta in quel posto desolato, ma lui rimase in silenzio. Poi improvvisamente
sentì le sue mani premer forte sul seno. Lei cercò di svincolarsi da quella
morsa infernale, ma più lei tentava di sfuggire e più le sue mani le si
insinuavano dentro. Quell’uomo che lei aveva creduto debole, ora lo riconobbe
nella sua vera natura, quell’uomo era il mostro. Sentiva la sua saliva lungo il
collo, il suo ansimare oltraggioso rimbombargli nelle orecchie. Poi il buio. Quell’uomo, quel vecchio, che poteva
esser suo padre, suo zio, suo nonno, abusò di lei. Abusò di lei ripetutamente.
Ma il buio inghiottì tutto, i pensieri, la memoria, le speranze. Il buio
inghiottì anche la sua anima, ma purtroppo non fu abbastanza forte da prendersi
anche il corpo.
Finale 2
Lei chiese come mai lui l’avesse
condotta in quel posto desolato, e lui le disse che gli era sembrato un posto
tranquillo per parlare. Lei si sentì a disagio. Lui posò una mano su quella di
lei, ma lei la ritrasse. Iniziò quindi a parlarle con voce profonda facendole
capire che quelle e-mail avevano fatto
nascere in lui un sentimento nuovo. Lui l’aveva sentita vicina, lei aveva
saputo toccare con le parole corde inesplorate, sentimenti sopiti, e se ne era
innamorato. Lui tentò un nuovo approccio ma nuovamente lei si chiuse a riccio.
Lui si indispettì. Lei capì che sicuramente quelle e-mail erano state
equivoche, come lo era l’atteggiamento di lui. Lei non corrispondeva e non
aveva mai pensato che tra loro potesse esserci altro che un sentimento di
reciproco rispetto. Chiese di esser riaccompagnata a casa, lui infastidito
riaccese la macchina. Non si videro più e né si scambiarono più e-mail.
Lei ora scrive in un blog ed ha
deciso di raccontare questa storia in occasione della Giorno mondiale contro la
violenza sulle donne. La sua storia si concluse con il finale 2, ma ora ha
capito che il finale 1 è sempre in agguato.
la prima considerazione che ho fatto leggendo l'inizio del post è stata: cavoli tra 15 anni sarò anziana.
RispondiEliminapoi ho letto tutto il post: mai dare dell'anziano ad un 65enne,non dandogli dell'anziano si prendono le dovute distanze,ma a 23- 24 anni può succedere di vedere una persona di 65 anni come un anziano assessuato e questo non giustifica il comportamento del "rispettabile docente"
Si contestualizza il post a quegli anni... Io all'epoca li vedevo come nonnetti anche se in realtà non lo erano. Ho imparato che non c'è nulla di più relativo dell'età. Da piccola dicevo che io a 18 anni avrei voluto sposarmi e avere figli. In realtà poi ho aspettato di averne il doppio per avere il primo figlio, e ovviamente prima o poi metterò in cantiere il secondo
RispondiEliminaIo ho imparato sui 15 anni che gli adorabili vecchini non sono poi tanto adorabili.
RispondiEliminaL'astinenza prolungata più la deficienza senile gli fa perdere dignità, alle volte. C'è da fare attenzione quasi più a loro che non ai giovani. Non è tanto il pregiudizio che gli anziani non pensino più a quello, quanto il fatto che essendo un pò fuori di melone spesso si arrischiano anche troppo.
Fortuna che hai saltato al punto 2, sono felice per te.
che brutte sensazioni devi aver provato in quel momento e che brutto pensare ancora oggi, a distanza di anni, che la soluzione 1 poteva davvero succedere. l'importante, in queste situazioni, è non colpevolizzarsi credendo di avere in qualche modo istigato quel comportamento..non c'è mai giustificazione a quello schifo!
RispondiEliminasono davvero felice che sia stato il finale 2. E ti abbraccio forte perchè posso solo immaginare la paura.
RispondiEliminache paura, che brutta sensazione. E che coraggio, il tuo! Di raccontare!
RispondiEliminaNice blog thanks forr posting
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