mercoledì 12 dicembre 2012

Gli avevano detto corri


Gli avevano detto corri, e lui aveva preso quel suggerimento alla lettera.
Non aveva avuto dubbi sul momento giusto di iniziare la corsa. Appena aveva sentito il fischio, era partito.
Aveva corso come se fosse l'ultima cosa che lui dovesse fare nella sua vita, perchè questo era quello che dalla sua nascita gli era stato inculcato.
Correre era la sua unica possibilità di salvezza.
Aveva un paio di scarpe nuove, le aveva comprate suo padre appositamente per quella gara; delle scarpe così belle non ce le aveva nessuno.
Era spaventato dagli altri, dai suoi compagni: erano in tanti, tutti coetanei, tutti con tanta voglia di arrivare, ma quella era la sua gara, e gli altri non dovevano farcela.
Se avesse continuato a pensare agli altri, non sarebbe mai arrivato. Le loro voci gli facevano salire l'ansia, gli facevano tremare le gambe, perdere la fiducia in se stesso.
Doveva estraniarsi, doveva pensare solo a se, degli altri non doveva averne cura.
Ogni gara si combatte prima di tutto con e contro se stesso, gli altri sono un’altra storia.
A poco a poco riuscì quindi a perdere  la percezione delle voci e dei suoi compagni. Era finalmente solo in quella sua disperata corsa.
Iniziò così ad avere  percezione del tunnel in cui si era andato d incanalare. Era buio e sotto ai suoi piedi una fitta melma rallentava la sua corsa.
Nessuno gli aveva mai detto che sarebbe stato così difficile, che il terreno sarebbe stato così ostile. 
La corsa per lui era sempre stato tutto, ma in quel dannato momento iniziò a rimpiangere di essersi imbarcato in un simile affare.
E se non ce l’avesse fatta? Cosa avrebbero detto di lui i suoi amici?
Nel cervello iniziarono a rimbombargli le voci dei suoi compagni, che sghignazzando si facevano beffa di lui e di quel suo temperamento così testardo che non lo avrebbe portato da nessuna parte.
Cacciò nuovamente dal cervello quei pensieri pesanti.
Doveva correre solo per correre.
Sua madre sarebbe stata fiera di lui se lo avesse visto correre, in quel modo così spavaldo. Pensò questo, per darsi coraggio.
Il tunnel man mano che andava avanti diventava sempre più buio.
Inizialmente aveva seguito la luce per orientarsi, ma oramai andando avanti con la corsa anche quella era cessata.
L’ambiente era diventato buio, umido e soffocante. L’assenza di luce rendeva greve l’aria. Ad ogni modo non poteva fermarsi.
Continuò a correre al buio, orientandosi alla ben e meglio, saggiando   a tentoni le pareti del tunnel. Se seguiva la parete poteva ancora farcela.
A volte cadeva, ma si rialzava.
Stava correndo ancora quando andò a prendere un muro in piena faccia. Quel muro gli schioccò in faccia come un sonoro ceffone. Capitombolò indietro rimbalzato dall’urto come una palla da tennis impazzita.
Quel muro proprio non era previsto.
Si era perso, ne era certo. Il buio lo aveva ingannato.
Quel muro non doveva esserci.
Si toccò la guancia indolenzita.
Non sapeva se li bruciava più la ferita dell’urto con il muro in piena faccia o quella dentro di aver toppato quella gara così importante.
Sua madre non sarebbe mai stata orgogliosa di lui. Suo padre aveva buttato al vento i suoi soldi per comprare quel paio di scarpe nuove.
Gli salì un magone da una zona ancestrale della sua anima.
Sapeva di esser stato vicinissimo al traguardo. Per poco, aveva soffiato la giusta uscita per poco.
Se non fosse stato per quel maledetto buio, sarebbe arrivato per primo.
Lui era più veloce di tutti, lui aveva le carte giuste per vincere quella gara.
Eppure la storia era andata in un modo diverso. Era stata scritta con un altro finale.
Quel traguardo era stato tagliato probabilmente da qualcun altro, perché lui lo aveva lisciato.
La madre di qualcun altro in quel medesimo momento avrebbe avuto gli occhi pieni di commozione.
Ebbe un impeto di rabbia e tirò un calcio su quella parete infame.
Al diavolo la corsa, al diavolo tutto!
Era bastato così poco per mandare a puttane tutto.
Al calcio seguì un rumore sordo, dissonante, come arrivato con qualche frazione di ritardo rispetto al momento di collisione
Un piccolo spessore della parete si incrinò, e fece percepire un bordo non completamente adeso.
Da quello spiraglio una luce filtrava nella melma del pavimento.
Ritrovò il coraggio. Forse poteva ancora farcela.
Si sdraiò come fosse un serpente, e si fece spazio in quella crepa.
Dopo pochi minuti sparì dietro quella parete, con un ultimo battito di coda.

Questa è la storia di uno spermatozoo, che riuscì a fecondare un ovulo nonostante la spirale. Gli avevano detto corri, e lui aveva corso.
Oggi quello spermatozoo compie 33 anni.

Auguri amore!


9 commenti:

  1. AUGURISSIMISSIMI FAAAAAAB!!!
    Un mito fin dagli albori, e Bussola ti ha fatto un gran bel regalo con questo post!!
    Bussolina, mi hai fatto troppo ridere, bravissima!!!
    Ancora AUGURIIIIIIIIIIIIII!!!!!

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  2. Fantastica. Una storia esilarante e commovente al tempo stesso.
    Tanti tanti auguri.

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  3. AHHAAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH! Bussola, sei la meglio!!!
    E buon compleanno a Fab!!!

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  4. Ci sei davvero riuscita a creare la suspence giusta per farsì che la parte finale del tuo brano faccia centro!

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  5. Pensavo stessi per dare "il grande annuncio" e invece...era solo il compleanno di Fab. Che delusione :P

    Ah si, quasi dimenticavo: auguri!!! :D

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  6. Bella storia, bel finale.
    Intercambiabile, potrebbe essere la storia di una qualunque vita, con le sue nasate e i suoi spiragli, vivere è un correre continuo, chi si ferma, oggi, è veramente perduto.
    Auguri allo spermatozoo cresciutello e, di riflesso, a te.
    Ciao.

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  7. E la prima volta che entro a tu blog e mi piace molto quello che scrivi , spero di seguirte molto spesso.Ottimo post.

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