Gli avevano detto corri,
e lui aveva preso quel suggerimento alla lettera.
Non aveva avuto dubbi
sul momento giusto di iniziare la corsa. Appena aveva sentito il fischio, era
partito.
Aveva corso come se
fosse l'ultima cosa che lui dovesse fare nella sua vita, perchè questo era
quello che dalla sua nascita gli era stato inculcato.
Correre era la sua unica
possibilità di salvezza.
Aveva un paio di scarpe
nuove, le aveva comprate suo padre appositamente per quella gara; delle scarpe
così belle non ce le aveva nessuno.
Era spaventato dagli
altri, dai suoi compagni: erano in tanti, tutti coetanei, tutti con tanta
voglia di arrivare, ma quella era la sua gara, e gli altri non dovevano
farcela.
Se avesse continuato a
pensare agli altri, non sarebbe mai arrivato. Le loro voci gli facevano salire
l'ansia, gli facevano tremare le gambe, perdere la fiducia in se stesso.
Doveva estraniarsi,
doveva pensare solo a se, degli altri non doveva averne cura.
Ogni gara si combatte
prima di tutto con e contro se stesso, gli altri sono un’altra storia.
A poco a poco riuscì
quindi a perdere la percezione delle
voci e dei suoi compagni. Era finalmente solo in quella sua disperata corsa.
Iniziò così ad avere percezione del tunnel in cui si era andato d
incanalare. Era buio e sotto ai suoi piedi una fitta melma rallentava la sua
corsa.
Nessuno gli aveva mai
detto che sarebbe stato così difficile, che il terreno sarebbe stato così
ostile.
La corsa per lui era sempre stato tutto, ma in quel dannato momento
iniziò a rimpiangere di essersi imbarcato in un simile affare.
E se non ce l’avesse
fatta? Cosa avrebbero detto di lui i suoi amici?
Nel cervello iniziarono a
rimbombargli le voci dei suoi compagni, che sghignazzando si facevano beffa di
lui e di quel suo temperamento così testardo che non lo avrebbe portato da
nessuna parte.
Cacciò nuovamente dal cervello
quei pensieri pesanti.
Doveva correre solo per
correre.
Sua madre sarebbe stata
fiera di lui se lo avesse visto correre, in quel modo così spavaldo. Pensò
questo, per darsi coraggio.
Il tunnel man mano che
andava avanti diventava sempre più buio.
Inizialmente aveva
seguito la luce per orientarsi, ma oramai andando avanti con la corsa anche
quella era cessata.
L’ambiente era diventato
buio, umido e soffocante. L’assenza di luce rendeva greve l’aria. Ad ogni modo
non poteva fermarsi.
Continuò a correre al
buio, orientandosi alla ben e meglio, saggiando a tentoni le pareti del tunnel. Se seguiva la
parete poteva ancora farcela.
A volte cadeva, ma si
rialzava.
Stava correndo ancora
quando andò a prendere un muro in piena faccia. Quel muro gli schioccò in
faccia come un sonoro ceffone. Capitombolò indietro rimbalzato dall’urto come
una palla da tennis impazzita.
Quel muro proprio non
era previsto.
Si era perso, ne era
certo. Il buio lo aveva ingannato.
Quel muro non doveva
esserci.
Si toccò la guancia
indolenzita.
Non sapeva se li
bruciava più la ferita dell’urto con il muro in piena faccia o quella dentro di
aver toppato quella gara così importante.
Sua madre non sarebbe
mai stata orgogliosa di lui. Suo padre aveva buttato al vento i suoi soldi per
comprare quel paio di scarpe nuove.
Gli salì un magone da
una zona ancestrale della sua anima.
Sapeva di esser stato vicinissimo
al traguardo. Per poco, aveva soffiato la giusta uscita per poco.
Se non fosse stato per
quel maledetto buio, sarebbe arrivato per primo.
Lui era più veloce di
tutti, lui aveva le carte giuste per vincere quella gara.
Eppure la storia era
andata in un modo diverso. Era stata scritta con un altro finale.
Quel traguardo era stato
tagliato probabilmente da qualcun altro, perché lui lo aveva lisciato.
La madre di qualcun
altro in quel medesimo momento avrebbe avuto gli occhi pieni di commozione.
Ebbe un impeto di rabbia
e tirò un calcio su quella parete infame.
Al diavolo la corsa, al
diavolo tutto!
Era bastato così poco
per mandare a puttane tutto.
Al calcio seguì un
rumore sordo, dissonante, come arrivato con qualche frazione di ritardo
rispetto al momento di collisione
Un piccolo spessore
della parete si incrinò, e fece percepire un bordo non completamente adeso.
Da quello spiraglio una
luce filtrava nella melma del pavimento.
Ritrovò il coraggio. Forse poteva ancora
farcela.
Si sdraiò come fosse un serpente, e si
fece spazio in quella crepa.
Dopo pochi minuti sparì dietro quella
parete, con un ultimo battito di coda.
Questa è la storia di uno spermatozoo, che
riuscì a fecondare un ovulo nonostante la spirale. Gli avevano detto corri, e
lui aveva corso.
Oggi quello spermatozoo compie 33 anni.
Auguri amore!
AUGURISSIMISSIMI FAAAAAAB!!!
RispondiEliminaUn mito fin dagli albori, e Bussola ti ha fatto un gran bel regalo con questo post!!
Bussolina, mi hai fatto troppo ridere, bravissima!!!
Ancora AUGURIIIIIIIIIIIIII!!!!!
Fantastica. Una storia esilarante e commovente al tempo stesso.
RispondiEliminaTanti tanti auguri.
Sono schoccata... ;)
RispondiEliminaAuguri!
AHHAAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH! Bussola, sei la meglio!!!
RispondiEliminaE buon compleanno a Fab!!!
che forza!!!!!!! augurissimissimi!
RispondiEliminaCi sei davvero riuscita a creare la suspence giusta per farsì che la parte finale del tuo brano faccia centro!
RispondiEliminaPensavo stessi per dare "il grande annuncio" e invece...era solo il compleanno di Fab. Che delusione :P
RispondiEliminaAh si, quasi dimenticavo: auguri!!! :D
Bella storia, bel finale.
RispondiEliminaIntercambiabile, potrebbe essere la storia di una qualunque vita, con le sue nasate e i suoi spiragli, vivere è un correre continuo, chi si ferma, oggi, è veramente perduto.
Auguri allo spermatozoo cresciutello e, di riflesso, a te.
Ciao.
E la prima volta che entro a tu blog e mi piace molto quello che scrivi , spero di seguirte molto spesso.Ottimo post.
RispondiElimina