mercoledì 18 settembre 2013

Eh già….Io sono ancora qua…..

Se avevate  pensato che in questi giorni fossi stata occupata in un lettino d’ospedale a gridare come un falco per far uscire un bimbo altrettanto strepitante tra la tensione del personale ospedaliero e gli svenimenti di un padre…. sappiate…. Che …eh già…io sono ancora qua…. Come canta Vasco!

Cioè per un attimo come al solito ci avevamo creduto anche noi, ma dato il titolo del precedente post questo non fa testo. Ci avevano creduto anche i nostri parenti, i nostri amici, i nostri vicini, il mondo intero, ma invece nulla, l’unico a cui non c’ha mai creduto è Nicolò.

Sono passati due giorni alla dpp, ma noi si sta qui, come bambole matrioske, sereni in attesa degli eventi. Il giorno della dpp la ginecologa mi ha attuato la manovra dello scollamento delle membrane.

Lo scollamento delle membrane appartiene alla categorie delle manovre che permettono di accelerare o indurre il travaglio e consiste nello scollare in modo meccanico le membrane amniocoriali dalla superficie interna del collo dell'utero. È una pratica che viene messa in atto dal ginecologo o dall’ostetrica per sollecitare l’inizio del travaglio o per accelerarlo nel caso in cui proceda troppo lentamente. 

Nel mio caso però probabilmente è stata fatta un po’ troppo presto. La dottoressa probabilmente ha pensato di precorrere i tempi per via del peso del bambino, dando quindi un’accelerata a quella grande macchina che faticava a mettersi in moto. Il mio organismo però non era ancora pronto per il parto, e quindi ho avuto una serie di contrazioni durante la notte che mi hanno portato in ospedale, ma che sfortunatamente sono state fini a se stesse, non riuscendo quindi a dare origine al travaglio.

Il processo dovrebbe comunque ad ogni modo essersi accelerato.

Nicolò manda a dire, che lui non cede così facilmente, si oppone a qualsiasi manovra di chi intende mettergli fretta.

Vince lui come al solito, perché a quanto pare, è lui che comanda in quei quartieri. E’ lui il boss!

Oggi è ritornata la calma. Sono passati i dolori, sono passate le contrazioni, il mio utero è ritornato sereno.

L’ultimo monitoraggio era lo specchio della tranquillità. Se avessi fatto un’ecografia, sarebbe comparsa l’immagine di mio figlio che si fuma una sigaretta, seduto su un muretto con i piedi a penzoloni oscillanti nel vuoto.

L’utero ad ogni modo inizia ad aprirsi e ad accorciarsi.

Spero che mio figlio si stia godendo quindi la sua ultima sigaretta, prima di dare un ultimo sguardo al panorama e poi saltar giù da quel muretto per venir fuori.

Se quel salto lo facesse di notte, si renderebbe conto che in cielo ora sta per splendere una bellissima luna piena, ed è quindi un bellissimo momento per farsi una passeggiata.

Io intanto aspetto che si aprano le danze. Mi sento pronta, vestita con calze e tutù, un body rosa, le scarpe con le punte in gesso e i capelli raccolti a chignon. Sono pronta, perfetta e compenetrata, ma seduta sola sulla panchina degli spogliatoi della palestra. Spero che prima o poi qualcuno apra quella porta e venga a chiamarmi per dirmi che finalmente è arrivato il mio turno, è ora di dare inizio alle danze.




sabato 14 settembre 2013

Ci avevamo creduto

Ci avevamo creduto.

Delle contrazioni durante il monitoraggio di martedì, non elevatissime non ravvicinatissime ma abbastanza da esser percepite e avermi fatto grondare di sudore. Poi la notte vengo svegliata da dolori tipo ciclo, anche in questo caso non contrazioni ma dolori costanti e intensi. La notte passa così movimentata in preda a queste fitte, e al dubbio amletico se andare o meno in ospedale, fino a quando non riesco a riaddormentarmi. Quando mi risveglio la mattina non ho più nessun dolore ma ho una sensazione di aver fatto una giornata di palestra per esercitare i muscoli a livello dell’internocoscia, una sensazione quanto meno bizzarra.

Nei due giorni successivi questi dolori vanno e vengono a loro piacimento, comparendo di giorno o di notte in base ai loro gusti, a casa o durante un aperitivo con gli amici.

Insomma ci avevamo creduto. Avevamo sperato che Nicolò avesse deciso di venire a farsi conoscere, o quanto meno avesse iniziato a preparare la valigia.

Ma invece il mandrillo ci ha ripensato.

Ieri altro monitoraggio. Quando l’infermiera mi lega alla macchina io ero in preda ai doloretti. Ero contenta, la macchina avrebbe rilevato delle contrazioni o qualsiasi cosa quei doloretti rappresentassero.

E invece nulla. Io grondavo sudore, ma quella zoccola di macchina non percepiva la minima traccia del nulla, uno zero carbonella, il niente che più niente non si può. Nessuna contrazione. Tutto fermo. Solo il movimento del bambino che in quel frangente sembra essersi fatto uno striscio di coca e aver iniziato a ballare una danza Maori.

La dottoressa fortunatamente venuta a controllare il tracciato, mi vede e percepisce che c’è qualcosa che non va a dispetto di quello che dice la macchina. Mi chiede se percepivo dei dolori. Le rispondo affermativamente. Decide di farmi una visita, nonostante per venerdì fosse previsto solo un monitoraggio.

Sono contenta, così capisco se lì in fondo al mar, in fondo al mar sta cambiando qualcosa, tipo che un salmone si prepara a saltar via.

Ma nulla. Il salmone manda a dire di star sereni, lui sta bene dove sta!
La dottoressa conferma quanto detto nell’ultima visita: parto chiuso, utero girato, bimbo felice.

In fondo al mar, in fondo al mar.
E non si rischia di abboccar no, non c'è un amo in fondo al mar.
La vita è ricca di bollicine, in fondo al mar, in fondo al mar. In fondo al mar, in fondo al mar.

Sconsolati quindi ce ne torniamo a casa, con i nostri doloretti, Nicolò sguazzante e saltellante, e l’utero perfettamente chiuso e all’attivo quattro monitoraggio in cui ci sentiamo allegramente beffeggiati da nostro figlio.

Primo monitoraggio: contrazioni ma di bassa entità che non le percepisco neanche
Secondo monitoraggio: calma piatta su tutti i fronti
Terzo monitoraggio: contrazioni
Quarto monitoraggio: calma piatta su tutti i fronti (ma io percepisco dolore)

Lunedì finisco il tempo. Giorno 16 è la mia dpp. Farò un altro monitoraggio.

Venghino signori venghino….. altro giro altra corsa…

Lo spettacolo lo offre Fagiolino. Spettacolo lungo. Lui dice che si va ai tempi supplementari se non proprio ai calci di rigore.























martedì 10 settembre 2013

Mio figlio è un salmone

Salmone: Salmone è il termine comunemente usato per indicare diverse specie della famiglia Salmonidae, che conta undici generi e sessantasei specie.


Tutti i salmoni si riproducono in acque dolci fredde ed ossigenate e sono caratterizzati da abitudini anadrome: trascorrono la vita adulta in mare e durante il periodo della riproduzione risalgono i fiumi controcorrente  per ritornare nel torrente in cui sono nati. Per riuscirci, si fanno guidare dal sole quando si trovano nell'oceano e dal senso dell'olfatto quando si trovano vicini alla costa, riuscendo così a riconoscere le caratteristiche dell'acqua natia.


L’ultima volta che scrivevo ero a) gravida b) insonne c) incazzata. Al momento la situazione è cambiata di poco, continuo ad essere a) gravida e b) insonne ed ho trasformato la mia ultima me da c) incazzata a c)stressata, sfiancata, avvilita, esausta o ogni altro sinonimo a vostra scelta.

Ho iniziato la fase dei monitoraggi. Nicolò ha la voglia di uscire dal mio pancione pari a quella di una gazzella di farsi una passeggiata nella gabbia dei leoni.

Il parto è chiuso, l’utero non girato, il bimbo sereno. I movimenti del mio utero sono mare forza olio.

Durante il monitoraggio il rivelatore del bambino ogni tanto perdeva il segnale inquietandomi non poco. L’infermiera è venuta subito a controllare, quando le ho chiesto di dare un’occhiata al tracciato frammentato. Mi ha poi tranquillizzato dicendomi che il bambino si era spostato ed ha alzato la cintura per direzionarla nuovamente in posizione del cuore.


Nicolò ha continuato a spostarsi per due tre volte, sempre verso l’alto, facendo impazzire il macchinario e l’infermiera. La donna un po’ perplessa per questa caccia al bambino ha chiamato persino la ginecologa per far verificare lo strano fenomeno. Fortunatamente la dottoressa ha benedetto l’avvenimento con diagnosi di “bambino che zompa allegramente”.

Alla fine quando mi è stata tolta la cintura è stato sancito scherzosamente

“Signora suo figlio ha voglia zero di uscire. Anzi fa come i salmoni, va contro corrente, risale il torrente”

Perfetto!

Mi sono messa a ridere. Un figlio cuor di leone, che pur di non avvicinarsi al parto, prova a far l’acrobata attraverso le pareti della placenta. Un figlio geneticamente in sintonia con i propri genitori.

Me lo sono immaginato puntare i piedi lungo l’utero e risalire contro corrente attraverso i declivi della placenta tirando il cordone ombelicale tipo climbing. Mi sono chiesta se in presenza di un ecografo ci avesse mandato l’immagine di se con un sorriso e un bel terzo dito in primo piano.

Mancano sei giorni alla dpp, ma non mi sembra che mio figlio  sia minimamente interessato alla questione.
Giorno 19 è luna piena, e si dice che ci sia una maggiore frequenza di parti in prossimità di questo fenomeno celeste (saranno 3 giorni dopo la dpp). Per quanto bislacca possa sembrare questa tesi, devo dire che tre mie amiche ultimamente hanno partorito tutte con la luna piena. Ormai mi affido spero e credo in tutto.

Chissà che Nicolò non si decida in quel giorno di far capoccetta per veder quanto meravigliosa possa essere una sfera luminosa su una coperta blu trapuntata di stelle.

Chissà!

Ad ogni modo è possibile che venga ricoverata giorno 16, o giù di lì, quindi subito dopo la scadenza della data presunta parto, per poter esser maggiormente sorvegliata da un punto di vista medico. Dieci giorni altri di tregua e poi Nicolò climbing o non climbing, suo malgrado dovrà beccare l’uscita giusta.

Sarebbe gentile da parte sua.

PS: le foto sono da i-phone, quindi la qualità è comsì comsà

mercoledì 4 settembre 2013

Bussola scrive alle tre di notte

Sono le due di notte e sono a) gravida b) insonne c) incazzata, indi per cui avendo finito da un pezzo i greggi di pecore da contare, ho deciso di rinunciare completamente all’idea di addormentarmi, alzarmi definitivamente dal letto e mettermi a scrivere.

Scrivere è terapeutico. In genere mi fa sentire meglio.

Mi succedeva anche alle medie, quando ero un corpo in preda agli ormoni adolescenziali e piangevo un giorno si e l’altro anche, per gravi complicanze universali, come l’unghia incarnita o il colore troppo acceso dello smalto. Tanto per dare sfogo a questa alchimia di molecole che mi giravano nel sangue, scrivevo, scrivevo, scrivevo e scrivendo mi sentivo meglio. Scrivevo una sorta di temi, di cui io stessa mi davo i titoli, e poco ci mancava per cui non mi dessi anche il voto.

Conservo ancora adesso quei temi, raccolti in fogli protocolli, infilati gli uni dentro gli altri, buoni e giudiziosi. Se ne stanno nella loro scatola di latta in paziente attesa di esser rispolverati.

Son certi sofloni, che avrebbero fatto scendere il latte alle ginocchia pure a Kant, se avesse avuto il dispiacere di poterli leggere.  Eppure io appena poggiavo la penna sul tavolo, a componimento concluso, mi sentivo come Dante quando pose  fine all’ultimo verso del Paradiso. Mi sentivo in Paradiso appunto.

Cioè io non c’ero quando  Dante finì la divina commedia, né ho conosciuto qualcuno che potesse raccontarmelo, ma me lo immagino gongolante e soddisfatto, si riesco ad immaginarlo. Che poi i critici letterari si son fatti tante pippe letterarie sul simbolismo dantesco, di cui nutro seri dubbi che rispecchiassero effettivamente le intenzioni di Dante e vedi te che io ora non posso immaginarmelo gongolante a   opera conclusa?! Chi dice di no? Vi ricordo che sono a) gravida b) insonne c) incazzata e che pertanto non rispondo delle mie azioni.

Dopo aver scritto mi sentivo rinfrancata, avevo lasciato su carta tutta la mia malinconia, le mie problematiche esistenziali (quel ragazzo che ha abbassato lo sguardo mentre camminavo ha avuto un problema di un moscerino in un occhio o si è intimidito travolto dalla forte passione nei mie confronti?) , le mie angosce (il colore dello smalto del piede si intona alla nuance della borsetta), e libera da tutti questi interrogativi cosmici potevo tornare alle mie cose insane quotidiane, leggera come un fringuello.

Questi componimenti di letteratura sopraffina, per quanto generati da questioni di discutibile gravità, avevano la pretesa di affrontare grandi interrogativi sociali: la vita, l’amicizia, il senso della vita, il futuro. Se dico sofloni, mica esagero, son sofloni in tutto il loro splendore!

A rileggere quei temi ne uscirebbe un quadro di una persona del genere:

Individuo sesso femminile, caucasico, affetto da disturbi della personalità. Soggetto introverso poco incline alla socializzazione, segnato da cicatrici mai rigenerate dovute a gravi traumi giovanili non ancora metabolizzati. Predisposto al pianto e alla autocommiserazione necessita di urgente trattamento farmacologico.

In realtà, io ero tutto tranne questo. In quei momenti avevo però bisogno di scavare dentro di me, per fare uscire il peggio, per potermene in qualche modo liberare. Il peggio rimaneva quindi intrappolato su quelle pagine e io mi sentivo meglio, libera e leggera.

Non amo rileggere quindi quei testi, perché c’è il peggio di Bussola, la parte più fragile, più vulnerabile, che dice di esser forte, ma che nel momento in cui sente il bisogno di scriverlo è perché in realtà non si sente tale. In quei testi manca il meglio, la Bussola innamorata dei primi ragazzini, le amicizie che allora  sembravano indissolubili e che poi con il tempo si perdono come neve al sole, le risate con sua sorella, le prime soddisfazioni sui banche di scuola, le corse in campagna con il fido cane e tanto altro.

Purtroppo quell’angolo di Bussola è tralasciato, perché gridiamo al mondo quando ci sentiamo piccoli e non quando ci sentiamo forti. Quando siam forti, lo siamo e basta, e lo diamo per scontato.

Purtroppo se sentiamo la necessità di aprire una finestra di casa e di gridare al mondo, forse vogliamo solo che il mondo si accorga di noi, perché siam piccoli. Se ci sentiamo forti, chi minchia se ne frega che il mondo non si accorge di noi? ma chi minchia è questo mondo poi?
(Si vede che con la gravidanza mi sto facendo una cura di Montalbano?)



Non so se questo post ha un senso, probabilmente riletto di giorno non ne ha alcuno, però i cantanti scrivono di notte, gli scrittori la notte compongono i libri, e vi pare che Bussola non ha diritto a battere due tasti sulla tastiera alle tre di notte.

Del resto Bussola come quando aveva dodici anni, in questo momento si sente piccola e vorrebbe gridare al mondo.

Ma chi minchia è questo mondo poi?



L'ultima ecografia: livello superato

La nostra ultima ecografia. Livello completato.


La gravidanza è come un gioco a punti che dura nove mesi.

Il primo livello è quello più duro, dura tre mesi, e sei sempre a rischio. Vorresti urlare, gridare al mondo che stai per diventare madre, ma sei come dentro una pentola a pressione, il rischio di incedenti di percorso in questa fase non è trascurabile, quindi incroci le dita e sussurri al mondo, che forse, che se tutto va bene, se Marte, si incontra con Giove, mentre Plutone è affacciato alla finestra, tu magari potresti diventare madre, ma deve essere comunque una giornata di sole.

Quando finalmente tiri un sospiro di sollievo che il terzo mese di gravidanza è superato ti si presenta la carta “imprevisti e probabilità”: l’amniocentesi o il bi-test. E se il bambino ha la sindrome di Down, che faccio? O un’altra patologia? Non sai dirlo, non sei certa di nulla, e non vuoi neanche porti davanti a simili interrogativi, proprio non sapresti come approcciarli, non vuoi giudicare la vita o la morte, non sai nemmeno dove sono di casa. Rimani quindi con il fiato sospeso fino all’arrivo dei risultati.

Ma ti dice culo, e il tuo bambino è sano. Vai avanti un giro.

Nuova carta “imprevisti e probabilità”: la morfologica. Hai un cuore, un cervello, due mani, due piedi, due reni, uno stomaco, una manciata di ossa, un naso a patata una boccuccia e tanto altro da controllare. Il medico ovviamente non ti dice nulla mentre tuo figlio è come passato al metal detector dell’aeroporto. Visto che lui non ti dice nulla, tu cerchi di interpretare  le immagini in bianco e nero che ti compaiono sul monitor. “mano con cinque dita: ok. Porto a casa, indipendentemente che sia destra o sinistra” “Quello è un osso, ok porto a casa, sia esso omero o femore”. “Macchia sconosciuta non interpretata porto a casa lo stesso, prima o poi capirò a cosa serve.”

Sorvolo il fatto che alla fine della nostra partita quando andammo a contare gli organi che portavamo nel sacco a noi mancava all’appello un rene. Il rene lo ritrovammo tre giorni dopo. E’ tutto scritto qui 

Finisce la morfologica e il medico ti dice “Signora è tutto in ordine, non è stata rilevata nessuna problematica” poi aggiunge perché tu non possa mai sentirti serena “ovviamente intendo di quelle riscontrabili con questo tipo di indagine”.

Insomma sai che hai superato il livello morfologica, ma lui ti insinua comunque il dubbio: non ti devi rilassare troppo perché il pericolo è sempre in agguato, potresti cadere al prossimo step.

Mese dopo mese, analisi dopo analisi, tu collezioni punti, ringrazi il cielo e porti a casa.

Ora hai finito il livello ecografia. E ti senti una diciottenne che ha appena terminato l’esame di maturità. Ed un esame un po’ lo è stato.

Avevi fatto il controllo  e il medico ti aveva detto che tutto andava bene potevi quindi rivestirti. Senza fiatare ti sei seduta sul lettino, ti sei asciugata con un pezzo di carta il gel sulla pancia e ti stai per alzare quando l’assistente sussurra una cosa al medico.

“Mi scusi si riaccomodi, ci è venuto il dubbio di una cosa” vocalizza il medico mentre tu hai già un piede sul suolo.

Tu vai nel panico

“c’è qualche problema?”

Lui ti dice no, ma tu sei già nel panico. Anche quando c’è stato il problema del rene, lui ha aspettato prima di allarmarti. E che cavolo, un imprevisto però ora non sarebbe giusto! Cioè non è mai giusto, ma al nono mese è proprio un’infamata.

Poi invece scopri che effettivamente non c’è nessun problema dopo qualche minuto ti puoi alzare questa volta definitivamente. Ritiri il tuo referto, la tua ricevuta fiscale, e porti a casa il livello completato.

Insomma questa è stata la nostra ultima ecografia. Ci è capitato come quando all’università dopo un esame difficile il professore dice “le do 27” e tu sei contento stai per schizzare dalla sedia, ma lui ci ripensa e aggiunge “le faccio un’altra domanda per il 28”.
E tu pensi “ma chi minchia te lo ha chiesto il 28?!?!? scrivi sto benedetto 27 e lasciami andare a casa!”.
Per fortuna poi  la domanda la sapevamo e non abbiamo rischiato di mandare a puttane anche il 27. O almeno in questo caso la sapeva Nicolò, che poi il vero interrogato della questione era lui.

Da ieri  sono al livello successivo: i monitoraggi.

L’ultimo livello di questo gioco. Se superiamo questo livello, se superiamo l’ultima carta “imprevisti e probabilità: il parto”, alla fine vinciamo un bambino! Uno di quelli veri in carne ed ossa, che frignano, fanno la pappa, la pipì e la popò e non quelli in gomma che si vincono al tiro a segno.

Insomma quasi ci siamo. Fateci un grosso in bocca al lupo!

Vi lascio le foto di una gitarella a Gaeta e delle mie rotondità.

















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